Quando i pesi della vita sembrano insopportabili, la chiave sta nel riconnettersi con noi stessi. Impara a conoscere, amare e realizzare il tuo vero potenziale per vivere momenti di pura gioia e grazia.

  1. Perché poche persone si pongono domande su loro stesse?
  2. La motivazione suprema
  3. Il senso della vita
  4. Il senso della felicità
  5. Conclusione

  1. Perché poche persone si pongono domande su loro stesse?

In realtà, molte persone si pongono domande su se stesse durante la loro vita. Tuttavia, alcune persone potrebbero farlo meno frequentemente o potrebbero non approfondire le domande essenziali su chi sono veramente e cosa vogliono dalla vita.

Ci sono molteplici ragioni per cui ciò può accadere:

  • Tempi frenetici e distrazioni: viviamo in un’epoca in cui siamo costantemente sommersi da informazioni, impegni e distrazioni. Questo può rendere difficile trovare il tempo e lo spazio per la riflessione interiore.
  • Evitamento emotivo: riflettere su sé stessi può portare a confrontarsi con sentimenti o pensieri scomodi o dolorosi. Alcune persone evitano la riflessione personale per non dover affrontare queste emozioni.
  • Aspettative sociali e culturali: alcune culture o società enfatizzano l’azione e il successo esterno piuttosto che l’auto-riflessione e l’introspezione.
  • Paura del giudizio: alcune persone temono che, scavando in profondità, possano scoprire qualcosa di cui non sono orgogliose o che gli altri potrebbero non accettare.
  • Educazione e ambiente: non tutti sono cresciuti in ambienti che incoraggiano la riflessione personale. Se non sei stato esposto a questo tipo di pensiero da giovane, potrebbe non essere una pratica naturale per te da adulto.
  • Mancanza di strumenti o risorse: non tutti sono consapevoli delle tecniche o degli strumenti che possono aiutare nell’auto-riflessione, come la meditazione, il journaling o la psicoterapia.
  • Fissazione sugli obiettivi esterni: in una società orientata agli obiettivi e ai risultati, le persone possono diventare così concentrate su mete esterne (come carriera, denaro o status) da trascurare la riflessione interiore.
  • Sensazione di soddisfazione o contentezza: certe persone potrebbero sentirsi abbastanza soddisfatte della loro vita e delle loro scelte da non sentire il bisogno di interrogarsi profondamente su se stesse.
  • Tempi di crisi: spesso, le persone iniziano a riflettere profondamente su se stesse quando affrontano una crisi, un incidente, una malattia, un abbandono o un cambiamento significativo nella loro vita. Se una persona non ha affrontato momenti del genere, potrebbe non aver avvertito il bisogno di una profonda introspezione.
  • Sfiducia verso la propria intuizione: alcune persone possono non fidarsi della propria capacità di comprendere o interpretare le proprie emozioni e pensieri, e quindi evitano di farlo.

È importante notare che, mentre l’auto-riflessione e l’introspezione possono essere strumenti preziosi per la crescita personale, non tutte le persone ne hanno bisogno o ne beneficiano nello stesso modo. Ciò che è essenziale è che ciascuno trovi il proprio percorso e le proprie tecniche per capire e vivere una vita significativa e soddisfacente.

Si parte sempre dalla “motivazione suprema”.

2. La motivazione suprema

Corrisponde al principio che ti ha posto nell’esistenza.

È diverso per ognuno poiché ogni essere umano è unico e irripetibile. Di conseguenza è inutile aspettarsi delle risposte dagli altri, dai genitori, dai saggi, dai guru, dai maestri, dagli iniziati.

Jiddu Krischnamurti scrisse: «La verità è una terra senza sentieri. L’uomo non può arrivarci tramite alcuna organizzazione, credo o dogma, preti o riti, e nemmeno attraverso la conoscenza filosofica o una tecnica psicologica. Egli la deve trovare attraverso lo specchio della relazione, attraverso i contenuti della propria mente, attraverso l’osservazione personale e non con analisi intellettuali o dissertazioni introspettive».

La ricerca della propria verità o motivazione suprema non può essere soddisfatta da nessun fattore esterno a te.

Chi cerca e l’oggetto cercato sono la stessa cosa o almeno dovrebbero. Infatti, nella maggior parte dei casi non è così. L’individuo non cerca niente perché convinto che nulla ci sia da trovare al di fuori di quello che già sa. Così facendo la parte più vera e migliore resta nell’ombra, non viene né sfruttata in tutte le sue inimmaginabili potenzialità, né ascoltata prestando attenzione ai suoi tanti messaggi che instancabilmente invia.

Puoi cercare all’esterno tutte le cose, il mondo intero ma non troverai l’unica cosa preziosa della quale hai bisogno: te stesso.

Anzi, più cercherai fuori, più ti allontanerai da ciò che sei.

Come trovare il proprio perché?

Ci devi arrivare da solo.

Intanto prenditi del tempo, in un ambiente tranquillo, da solo e senza distrazioni come tv, cellulari, pc.

Ti chiedo se senti una spinta interiore che vuole uscire, un’urgenza impellente, una energia che cerca di trovare la strada in cui incanalarsi. Non ci sono molte parole per descrivere questo stato.

Per me è stata una generale insoddisfazione alla quale non riuscivo dare alcuna risposta adeguata.

Sai che da qualche parte puoi fare molto, ma non sai dove, come e perché.

Avverti un’impotenza silenziosa che qualunque cosa tu stia facendo ti rammenta sempre la sua ingombrante inutilità.

Molti affermano di non avere questa necessità e di non avvertire niente di simile. In questo caso è inutile continuare. Non si può parlare di qualcosa che non viene riconosciuto.

Questo vale anche per te.

La risposta che non provi alcuna urgenza cela molte insidie.

Scartando a priori l’ipotesi che tu sia già arrivato all’apice della comprensione di te stesso (e non te ne sei accorto), resta solo la possibilità che tu sia così tanto invischiato nei meccanismi sistemici da non desiderare più niente di diverso. Assuefazione totale.

Qualcuno potrebbe asserire che la mancanza dell’anima genera solo desideri materiali quali: il successo, la ricchezza, il prestigio, la fama, il potere.

Io non ho mai visto l’anima di nessuno e non sono in grado di pronunciarmi in tal senso. Anche se sono convinto che quest’anima bisogna riconoscerla e amarla, altrimenti a che cosa serve?

Gli effetti invece mi sono sempre stati evidenti e incontrovertibili.

Quando la persona incarna la sua motivazione suprema, la sua vita cambia.

Ti sarà molto più chiaro se esplorerai con me il senso della vita e il senso della felicità. Tutti intimamente legati alla “motivazione suprema”.

3. Il senso della vita

La vita sembra non avere alcun senso!

Spesso si riduce a un “su e giù” frenetico e meccanico.

Le ore i minuti, i secondi sono i parametri ai quali ci atteniamo più scrupolosamente che possiamo.

Questa grande corsa che il mondo occidentale ha strutturato è spesso fine a sé stessa. Correre per correre, per andare sempre più avanti.

Ma avanti dove?

Avanti perché?

Non occorre l’occhio di un clinico per realizzare un’umanità degradata, depressa, ansiosa, paurosa. Profondamente malata nel corpo e nell’anima.

Malattie fisiche dovute a stili di vita errati.

Patologie psichiche come depressione, ansia, paura, ossessioni, sono in costante aumento.

Ma tutto questo non è sufficiente a farci riflettere sul “dove stiamo andando” e soprattutto il “perché” lo stiamo facendo. Successo carriera, denaro, fama, ricchezza, sono i padroni incontrastati della psiche della grande maggioranza degli individui.

Ognuno per come può.

Tutti credono di inseguire il riconoscimento sociale, trovare il proprio ruolo nel mondo, come se questi obiettivi fossero sufficienti a motivare una vita di affanni. Motivazioni create ad hoc per fornire false credenze e illusioni di mirabolanti traguardi.

Poi improvvisamente arrivano i problemi.

Seguono i drammi, le cadute, le perdite, la morti.

Qualcuno, grazie a queste “tempeste esistenziali” inizia a porsi qualche domanda. Ma sono davvero pochi.

La maggioranza rimane incastrata nella ruota del criceto e si beve le motivazioni che il Sistema gli ha inculcato nella mente: sfortuna, destino, casualità, spiegazioni allineate con le necessità della gestione del consenso.

Questo meccanismo ha fatto in modo di creare una catena infinita di corruzione: chiunque è in vendita pur di possedere denaro da esibire,  col quale giustificare e guadagnare l’accesso alla scalata sociale, approvata e desiderata dalla gran parte del mondo.

La crisi, in cui molti individui piombano, era lì proprio per interrompere il loro correre nella ruota del criceto. Invece quasi tutti giudicano questo un fatto negativo, una sfortuna, una maledizione. Una catastrofe che, secondo loro,  ha interrotto il loro ben-vivere.

L’espressione partenopea “Speriamo che io me la cavo” rende perfettamente l’idea. La ferrea convinzione che la vita sia un modo per cavarsela al meglio delle proprie possibilità costruendo intorno a sé (proprio come lo spot di una nota banca) una zona di confort e sicurezza. Ecco il vero motivo di tanto accanimento nel vivere in maniera compulsiva. Hanno convinto l’umanità che la felicità corrisponde alla realizzazione personale all’interno della società che corrisponde a tutti gli stereotipi che sono stati costruiti nel tempo: denaro, ricchezza, potere, notorietà. Buone relazioni, figli ricoperti di ogni cosa, divertimenti e distrazioni. Tutto il panorama dell’apparire costituito da una  bella casa, auto importante, vestiti firmati o loro copie, bellezza esteriore, devozione nei confronti del pensiero dominante.

Tutto viene immolato sull’ottenimento e il mantenimento di questo livello di esistenza.

Questa è la felicità che le persone conoscono e che desiderano.

Questa è la felicità che la maggioranza dei guru, dei coach, della psicologia americana anche universitaria sbandierano.

Ma la verità è esattamente il contrario.

Tutti quei “valori sociali” non conducono alla gioia ma alla disgregazione fisica, psicologica e spirituale..

Mentre depressione, paura e infelicità si stanno impadronendo di buona parte del mondo. La famosa confort zone non funziona.

Allora tutto questo spasmodico inseguimento dei valori sistemici a che cosa serve? I risultati non mentono. La qualità dell’albero si vede dai suoi frutti, e si vede lontano un chilometro che sono tossici.

A questo punto resta solo da chiedersi: «Se la vita non è tutto questo, allora che cos’è?», «che cosa bisogna capire…»

Ecco che la parte della vita, quella vera, fa la sua comparsa. E qui torniamo alla domanda iniziale: «Qual è il senso della vita?»

La nostra anima sa bene che cosa è il bello, il buono e il bene. Conosce l’amore. Si tratta solo di collegare questa spinta alla realtà quotidiana. Per iniziare bene sarà cosa giusta cessare ogni ricerca esterna, ma dedicarsi alla propria interiorità. L’esterno può solo rappresentare degli strumenti ma non la soluzione.

Gli eventi problematici esistono per tutti, nessuno escluso.

Quello che cambia è conoscere la loro origine e il modo di agire senza re-agire. Il “perché” e il “come”.

In sintesi è la “visione”di noi stessi e del mondo che dobbiamo cambiare.

Ho detto “guardiamoci dentro” e smettiamo di prendere l’ambiente in cui viviamo come il principale riferimento.

L’ambiente è una costruzione di schemi stabiliti da altri.

Tu hai la possibilità di costruire il “tuo ambiente”, a tua immagine e somiglianza.

La tua essenza è il progetto di natura che devi portare a termine: amare, conoscere e realizzare ciò che interiormente sei.

4. Il senso della felicità

Lo sapevate che… mentre scriveva il suo Siddharta, Hermann Hesse (1877-1962) cadde in depressione e interruppe il suo lavoro.4.

Ebbe la fortuna di conoscere Carl Jung (1875-1961) che lo aiutó a uscirne e terminò con successo il suo romanzo. Da quel momento Hesse e Jung divennero grandi amici. Un giorno erano insieme quando Hesse aprì una lettera di un giovane ragazzo, il quale gli chiedeva quali fossero le cose più importanti nella vita di uomo. Di fronte ad una domanda del genere i due amici, non sentendosi in grado di dare una risposta, consultarono un testo di Confucio e vi trovarono la stessa domanda. La risposta di Confucio (551-479 a.C.) fu questa: «Le cose più importanti nella vita di un uomo sono due: essere coerenti con sé stessi il più possibile e imparare ad amare».

«Imparai che essere amati non è niente, mentre amare è tutto, e sempre più mi parve di capire ciò che da valore e piacere alla nostra esistenza non è altro che la nostra capacità di sentire. Il denaro non era niente, il potere non era niente. Si vedevano molti che avevano sia l’uno che l’altro ed erano infelici. La bellezza non era niente: si vedevano uomini belli e donne belle che erano infelici nonostante la loro bellezza. Anche la salute non aveva un gran peso; c’erano malati pieni di voglia di vivere che fiorivano fino a poco prima della fine e c’erano sani che avvizzivano angosciati per la paura della sofferenza.

Ma la felicità era ovunque una persona avesse forti sentimenti e vivesse per loro, non li scacciasse, non facesse loro violenza, ma li coltivasse e ne traesse godimento.

La bellezza non appagava chi la possedeva, ma chi sapeva amarla e adorarla.

La felicità è amore, nient’altro.

Felice è chi sa amare. Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa percepisce sé stessa e la propria vita. Ma amare e desiderare non è la stessa cosa. L’amore è desiderio fattosi saggio; l’amore non vuole avere; vuole soltanto amare»[1].

Hai già compreso che la parola felicità è inadatta a descrivere il vero grande obiettivo. Continuo comunque ad utilizzarla per praticità espositiva. La felicità è stata artatamente dirottata e sminuita a livello di stereotipo tossico. Chi ha manovrato dietro le quinte questa condizione, aveva ben chiaro il suo obiettivo: illudere, distrarre e rendere le persone infelici. Questioni di Dominio e di potere, non certo di amore per l’umanità. Attraverso la corruzione, fiumi di denaro, e incentivazione dell’ignoranza, è stata portata avanti questa interpretazione della felicità, totalmente fallimentare.

La sola idea di felicità è ormai diventata un elenco di stereotipi nocivi. Non abbiamo alcun diritto a essere felici. La vita non ci deve niente e noi non dobbiamo pretendere che ci consegni la felicità unicamente perché respiriamo.

Eppure la felicità interessa molti campi del sapere umano.

La ricerca della felicità si muove tra natura e cultura. Abbraccia praticamente l’intero scibile umano, e tutto il mondo delle arti.

La felicità si trova oltre la conquista di beni materiali, la ricerca di rapporti positivi con gli altri e nei tanti insegnamenti pseudopsicologici, psicologici e spirituali di ogni livello e provenienza.

È semplicemente un fenomeno individuale che nessuno potrà mai essere in grado di indicarti. Un fenomeno costituito dalla conoscenza delle cause che determinano le tue emozioni e gli accadimenti della tua vita.

Questa consapevolezza ha come strumenti la conoscenza di sé stessi, del mondo e il cambiamento permanente. Attraverso uno stato di perenne attenzione, studio, ricerca, trascendenza, amore ed esperienza.

Di conseguenza gli accadimenti come vedi, hanno un ruolo estremamente limitato. Capirli a fondo significa decidere quale interpretazione adottare, qual’intensità permettere e il tipo di emozioni che vuoi porre in essere.

Osservare la vita con gli occhi di chi è padrone e non schiavo. Non subirla ma aiutarla. Qualunque ricetta della felicità si trasforma in un’aspettativa e conseguentemente destinata a produrre solo infelicità. Poiché si tratta di aspettare un esterno a te.

L’errore è a monte. Non è seguendo un “protocollo di altri” che si può raggiungere ciò che tu solo puoi scoprire.

Per comodità di esposizione, parto dal libro diSonja Lyubomirsky [2], che ha strutturato un’ipotesi di ricerca condivisibile. La teoria del 50 -40 – 10. La felicità per la psicologa americana dipende per il 50% da fattori biologici, per il 10% dalle circostanze esterne e per il 40% dalle nostre scelte di pensiero e di azione.

Osserviamo che:

  • Le cause esterne hanno una bassissima incidenza. Non sono determinanti. La scienza ha ampiamente dimostrato che non esiste un collegamento tra felicità e reddito. Una volta raggiunto un reddito che consenta di vivere dignitosamente le due curve si muovono in modo molto diverso: all’aumentare del reddito non corrisponde un proporzionale aumento del livello di felicità. Lo stesso accade con gli accadimenti negativi. In breve tempo si tende a ritornare al livello di felicità precedente l’accaduto. Molte persone che hanno avuto successo hanno lottato come leoni tutta la vita in situazioni che spaventano solo a sentirle raccontare.
  • La parte biologica ricopre il 50%. Questa dimensione a parer mio non va letta come una certezza ma come una espressione dell’ignoranza scientifica che possediamo. Le complessità biologiche genetiche e epigenetiche provocano processi chimici ed elettrici che hanno come ricaduta emozioni e stati d’animo, che sono ancora per la maggior parte sconosciuti. Di certo sappiamo che la psiche è in grado di influenzare la parte biologica, variarla, e mutarla anche radicalmente.

Ancora oggi non sappiamo le cause delle malattie mentali. Sappiamo poco o nulla del cervello. Chi va dicendo che utilizziamo solo il 10% della nostra massa grigia sta affermando una sciocchezza. Se conosci il 10% vuol dire che hai conoscenza anche del restante 90%, e non è assolutamente così. Ed è proprio in questo 50% che si abbuffano i fuffaguru di mezzo mondo con tecniche spacciate per “risolutive, facili, veloci e senza sforzo”. Insomma, la metà della felicità resta un gran punto interrogativo. Non sappiamo praticamente nulla. Ma se continui a leggere scoprirai che cosa c’è al suo interno.

  • Il restante 40% ci permette di mettere del nostro sull’argomento. Questo è il campo delle scelte che possiamo compiere o meno. Se decidiamo di “capire” dobbiamo armarci di pazienza e di un forte impegno personale. Dobbiamo riformulare la visione della vita che la società ci costruisce nella mente e tornare al nostro inizio, alla purezza di quando siamo stati concepiti. Momento sacro in cui abbiamo ricevuto le nostre istruzioni di volo: virtù, passioni, talenti caratteristiche fisiche e psichiche. Ripartire da qui significa ripercorrere a ritroso l’esistenza in maniera consapevole. Ogni situazione, ogni evento, ogni dolore che abbiamo dentro, va portato alla luce e compreso. Ancora di più è necessario riuscire a comprendere che tutto nella vita ha una sua logica. Ogni evento negativo è lì per insegnarci qualcosa. Lo so, è dura da digerire quest’affermazione. Ma se tu inizi a pensare in questo modo la vita ti cambia. Il destino, la sfortuna, il caso, cederanno il passo alla conoscenza e alla consapevolezza.

Quando saprai chi sei, saprai anche dove andare con assoluta certezza. Qui sta la spiegazione di quel 50% inconoscibile che hai letto poc’anzi.

La felicità non è certamente un argomento che la psicologia può affrontare da sola. Filosofia, arte, letteratura, poesia, devono intervenire.

Se mai ci sarà un Nuovo Umanesimo, un Nuovo Rinascimento, la ricerca della felicità rappresenterà la sfida più ardua.

La piramide di Maslow si rovescerà.

I bisogni di auto realizzazione diventeranno più importanti e urgenti di quelli fisiologici o comunque al pari di essi. Chiunque, in qualunque parte del globo, povero o ricco, vorrà la sua parte di felicità. E non sarà un voler “avere”, ma un voler “Essere”.

L’essere umano pretenderà una vita dignitosa, colma di significato per sé stesso e gli altri. Vorrà cedere l’individualismo sfrenato in cambio di un senso comunitario di solidarietà e riconoscimento.

Si farà avanti la ricerca del bene, del buono e del bello.

Di tutto il bene.

Ecco perché la felicità rifugge dalle guide pratiche che ti spiegano come essere felice in 100 pagine, in 7 mosse, in 15 passi. Essa richiede lo sviluppo delle virtù individuali, la loro manifestazione concreta e la successiva condivisione con l’umanità intera.

L’unico modo di interpretare la felicità è una ricerca della propria vocazione esistenziale, del proprio “Progetto di Natura” che ognuno è chiamato a amare, conoscere e realizzare, così come è stato impostato in origine, depurando la propria esistenza da tutti i condizionamenti, i vincoli e le illusioni che nel frattempo hai inconsapevolmente accettato.

Ognuno è unico e irripetibile.

Per soddisfare questa unicità non possiamo prendere come riferimento le verità che ci vengono proposte da varie fonti ma ognuno deve farsi carico di scoprire la sua verità specifica e non uguale a nessun’altra, ne ora ne mai. Deve ampliare la propria coscienza

La coscienza fa lo stesso identico percorso della felicità.

La coscienza è l’unità di misura del livello di consapevolezza che hai raggiunto. Più divieni consapevole più ti avvicini alla felicità.

In questo percorso diverso da ogni altro dobbiamo impegnarci personalmente in maniera totale, apprendere continuamente, allenarci incessantemente. Quindi responsabilità esistenziale completa, dedizione al cambiamento e alla conoscenza di chi siamo e del nostro ambiente, e fare esperienze concrete. Il fare certifica la comprensione. Se resta a livello teorico è tutto inutile.

La felicità perché si riveli ha bisogno di un amore profondo e immenso, di una ricerca della trascendenza voluta e desiderata, di una resilienza infinita.

Il percorso di ognuno di noi è dato da svariate sconfitte, delusioni, frustrazioni e un numero limitato di vittorie. Rialzarsi sempre è fondamentale!

Non esistono percorsi più rapidi, escamotage chimici, politici, psicologici o spirituali. La conquista della felicità è un fenomeno strettamente interiore che per darsi in tutto il suo splendore ha bisogno della nostra dedizione totale.


5. Conclusione

La felicità è un’opera d’arte, il capolavoro dell’individuo, una misurata combinazione di creazione e scoperta della propria interiorità e di ciò che veramente è.

Per tornare all’immagine d’inizio capitolo, è facilmente interpretabile. Il senso della vita combacia esattamente con la gioia di vivere e di essere, poiché entrambe le situazioni (la vita e la felicità) stimolano lo stesso approccio: partone entrambe dall’amore.

Per la vita è indispensabile conoscere sé stessi, ma è assolutamente necessario prima amara,  amare ciò che andiamo a scoprire.

L’amore deve scaturire prima della ricerca altrimenti la vera conoscenza non si potrà mai dare. Conoscere significa amare ciò che si sta conoscendo, introiettarlo al nostro interno, rielaborarlo, e farlo successivamente riemergere come scoperta personale e non come sapere acquisito. Infatti, ci saranno sempre impercettibili differenze tra quello che hai acquisito e ciò che riemerge, perché tu sei diverso da chiunque altro ed essendo una componente del processo conoscitivo, il risultato sarà diverso da chiunque altro.

Per forza originale.

Similmente quando accade la felicità, o meglio la gioia e la grazia, sono fenomeni che partono anch’essi dall’interno come risposta a ogni accadimento. Questo moto interiore è un senso di amore infinito e di gratitudine per esistere come si è.

Essere nello stato di grazia vuol dire che godi immensamente di un’alba, di un gattino a cui dai qualcosa da mangiare, di un bel gesto nei tuoi confronti. Provi piacere per tutto. Non perché sei scemo, ma semplicemente perché hai capito il gioco della vita e che sai bene che il male è propedeutico alla tua evoluzione e che non c’è da incolpare nessuno se non te stesso. Non esistono buoni e cattivi. Situazioni positive o negative. Esiste sola la tua crescita che grazie a questi accadimenti, comunque, prima o poi, avverrà.

Sia la vita che la felicità necessitano dei soliti ingredienti: amore e conoscenza. Non certo l’amore dei “Baci Perugina”. Un tipo d’amore che travalica la forma stereotipa che la gran parte dell’umanità conosce. Un amore infinito della creazione, della trascendenza, del superamento di ogni stereotipo esistente.

La felicità è l’ingrediente primario che dona il senso alla tua vita. Prima trova la gioia di vivere e il resto verrà da sé.

La motivazione suprema dona il significato della vita e conduce ben oltre la felicità che è solo soddisfazione dei desideri. Conduce alla gioia e alla grazia, stati eccelsi dell’esistenza.

Questa condizione non va ricercata, ma costruita, istante dopo istante, incessantemente senza mai deragliare i propri pensieri e le proprie azioni  dalla méta che ci siamo preposti.

Le distrazioni non sono ammesse.

Con assoluta devozione verso sé stessi e la vita.

Maurizio Fani

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