NOI SIAMO COME TUTTI
– Trama del film
– Le recensioni
– La scena iniziale
– Gli ignavi per Dante Alighieri
– L’opera di Luigi Pirandello
– Betty fissa un appuntamento galante con Umberto
– Romeo viene stimolato ad andare contro Vince
– Dalla falsa relazione sentimentale all’omologazione il passo è breve
– Omologazione e conformismo
– I personaggi evolvono lungo il film?
Film che ha ottenuto un discreto successo. Ambientato a Torino, anno 1987 mette in rilievo un insieme di problemi che le persone comunemente vivono senza mai interrogarsi sul perché reale di questa condizione, che ai loro occhi appare naturale e l’unica possibile. Nessuno si accorge della meccanicità e ripetitività ossessiva dei pensieri e dei comportamenti. Nessuno si chiede perché il risultato è inesistente. Si agitano tutti ma vivono dentro la ruota del criceto.
La trama del film
Nessuno come noi è un film di genere commedia, sentimentale del 2018, diretto da Volfango De Biasi, con Alessandro Preziosi (Prof. Umberto Fioravanti) e Sarah Felberbaum (Prof.ssa Betty Bottone). Uscito al cinema il 18 ottobre 2018. Durata 100 minuti. Distribuito da Medusa Film.
Ambientata nella Torino degli anni Ottanta, quando non esistevano i social e smartphone, “Nessuno come noi” è una commedia romantica sulla forza dei sentimenti, in cui s’intrecciano amore, amicizia, passione e tradimento.
Betty (Sarah Felberbaum) è un’insegnante di liceo bella, anticonformista e single per scelta. Umberto (Alessandro Preziosi) è un noto docente universitario, affascinante, strafottente alle prese con un matrimonio noioso e privo di passione. I due si incontrano per la prima volta quando Umberto e sua moglie Ludovica (Christiane Filangieri) decidono di iscrivere il figlio ribelle nel liceo in cui insegna Betty. Nonostante un primo burrascoso incontro, tra loro scoppia una passione travolgente…
Alla loro vicenda si intreccia quella di Vince (Vincenzo Crea), che è perdutamente innamorato di Cate (Sabrina Martina), la bellissima compagna di classe, che finisce a sua volta per perdere la testa per Romeo /Leonardo Pazzagli), il migliore amico di Vince nonché figlio di Umberto.
La vita scolastica di un tranquillo liceo si trasforma improvvisamente in una triangolazione.
Le recensioni
– La sensazione è che si sia voluto giocare un po’ troppo con gli archetipi di un genere, facendoli così rovesciare in ben più citofonati stereotipi.
– De Biasi e Bianchini raccontano i loro “eroi” come persone normali alle prese con sentimenti più forti di loro. Il problema è proprio nella presupposta “normalità” dei personaggi, perché nessuno di loro sembra dotato di fibra morale, né di capacità di discernimento dettata da affetto famigliare, deontologia professionale o amicizia. Tutti tradiscono tutti con disinvoltura, senza apparire particolarmente preoccupati (o consapevoli) delle conseguenze delle loro azioni.
– Nei panni dei complicati adulti si ritrovano Sarah Felberbaum e Alessandro Preziosi, che interpreteranno due personaggi opposti in attesa di ricoprire l’ebbrezza di un amore giovanile. Il resto dei giovani protagonisti è ancora alle prime armi ma sono stati già visti in altri prodotti di stampo adolescenziale: Vincenzo Crea è stato uno dei giovani ribelli di I figli della notte, Leonardo Pazzagli era nel gruppo di Non c’è campo e Sabrina Martina è stata già vista in La ragazza nella nebbia.
– Interessante l’idea, sottile anche se comunque evidente, di indagare la condizione di Betty che da una parte ha paura di una storia seria e definita con Umberto e accetta quindi la relazione clandestina, ma dall’altra non sopporta i fugaci appuntamenti tra loro e le bugie che lui racconta alla sua famiglia per stare insieme. Ad esempio proprio questa sensazione di Betty è affrettata: da un giorno all’altro, dall’accettazione di una storia a metà, escogita piccoli piani vendicativi nei confronti di Umberto perché capisce, in pochi minuti, di sentirsi trascurata.
– Nessuno come noi che poteva essere una commedia romantica senza troppe pretese, diventa un film prevedibile e anche privo di attenzione. I personaggi che, con poche informazioni, sono ben caratterizzati, perdono di spessore nelle loro decisioni dettate da non si sa bene quali ragioni.
La scena iniziale
Il film si apre con l’immagine di un disco in movimento sul piatto del giradischi e la testina che cala tra i solchi dell’LP.
Qual è il significato?
Il disco in vinile (noto anche come disco a microsolco), è un supporto per la memorizzazione e la riproduzione analogica di segnali sonori. La puntina della testina entra dentro i solchi e ne segue la traccia.
È un mezzo meccanico che non lascia spazio ad alcuna variante. Se metti su un disco con la canzone X, non potrai mai ascoltare altra musica che quella. Sei obbligato.
Questo è quello che ci racconta la prima immagine e che rappresenta la sintesi perfetta di tutta il film.
Le persone si muovono meccanicamente in un percorso stabilito. Non compiono azioni ma re-azioni, esattamente come la puntina del giradischi segue il microsolco.
Gli ignavi per Dante Alighieri
Chi sono gli ignavi?
Quelli che si sono sempre ben guardati dal prendere una posizione, che non agiscono mai, che non si formano un’opinione personale dei fatti ma si limitano ad adeguarsi, a conformarsi ai voleri del pensiero dominante.
Per tali ragioni, Dante, sarà feroce con gli ignavi. Li definirà come esseri che il mondo dimentica, per dirla con le sue stesse parole:
“Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ‘nvidiosi son d’ogni altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa”.
(Inferno, III, 46-49).
La punizione prevista dal poeta per gli ignavi prevede che vaghino nudi per l’intera eternità inseguendo un’insegna che si muove rapidissima e gira su se stessa mentre sono punti da mosconi e vespe. Oltre a questo, il loro sangue mischiato alle lacrime è succhiato via da fastidiosi vermi.
Giustamente Dante non li pone né in Paradiso e neanche nell’Inferno ma nell’Antinferno proprio per non essersi mai voluti schierare né col bene né col male. In tale sito Dante colloca Celestino V (1209-1296) e i diavoli neutrali nella lotta tra Lucifero e Dio.
Secondo il dantista Paolo Golinelli: «Dante avrebbe inserito Celestino V nel girone degli ignavi perché non seppe scegliere il suo destino ma si lasciò influenzare dalle sue origini contadine. Dante considerava la figura dell’eremita come esempio negativo da mostrare ai suoi contemporanei, non meritevole né di una condanna né di un’assoluzione. Come controprova lo studioso porta l’esempio di san Francesco d’Assisi che per Dante non si fece condizionare dalle sue origini borghesi.
La realtà in cui viviamo è gremita d’ignavi e di uomini senza personalità, incapaci di esprimere un proprio pensiero.
Non hanno il coraggio di diventare liberi, amano la schiavitù più di ogni altra condizione poiché in essa trovano la tranquillità e la certezza di essere accettati dalla società.
Preferiscono un silenzio carico di approvazione piuttosto che manifestare una critica.
Un uomo quando ha perso se stesso, ha perso tutto.
L’ignavia rappresenta l’immobilismo di fronte al divenire.
Dobbiamo sempre ricordarci che Dante molto probabilmente è stato l’ultimo maestro Templare dopo Le Molay al cui supplizio pare che abbia assistito. La Divina Commedia è un trattato della conoscenza templare raccontata come Commedia per ovvi motivi di censura.
Alcuni esperti hanno dichiarato che la carica di Maestro Templare fosse stata assegnata al Cavalcanti ma che la rifiutò per paura.
Ecco forse spiegato l’ardore di Dante nello scagliarsi contro coloro chi nella vita politica si tirava indietro davanti a una grande scelta, scelta che avrebbe prodotto un grande cambiamento.
Anche Antonio Gramsci dinanzi all’avanzata totalitaria, scriveva sulle pagine della “Città Futura” in data 11 febbraio 2017:
«Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.
È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti».
Il tema dell’indifferenza è attualissimo.
Il problema della scelta ci fa pensare a Jean Paul Sartre, che nel suo saggio “L’esistenzialismo è un umanismo”, afferma che l’uomo è libertàincondizionata asseverando con ciò che la libertà è la capacità dell’essere umano di autodeterminarsi. La libertà rientra nella logica del pensare e ragionare secondo i dettami della propria coscienza. Quest’ultima è alimentata dalla capacità di affrontare il reale senza mediazioni esterne.
Siamo agli antipodi dell’omologazione.
Ottima cosa parlarne a scuola ma chi ne parla, cioè l’insegnante, è un esempio da seguire?
Dimostra con l’azione di essere libera dagli stereotipi che condannano quasi tutti?
L’opera di Luigi Pirandello
È impossibile inquadrare il film senza tenere conto di due aspetti molto di alcuni aspetti che il film mette in evidenza tra cui la produzione letteraria di Luigi Pirandello.

Di lui parla il Prof. Umberto Fioravanti ai suoi allievimostrando il quadro semiotico di cui sopra.
In questo quadrante greimasiano si evidenzia il contrasto tra l’illusione e la realtà. L’illusione si rivela come un inganno o un’ideale irrealizzabile, e la realtà meschina e avvilente come del tutto inadeguata a quelle speranze.
Il Quadrato semiotico è la rappresentazione visiva dell’articolazione logica di una categoria semantica (S), mediante il quale emerge la struttura interna e i semi che essa genera.
Dato che il senso si genera per differenza – le relazioni sono PIÙ IMPORTANTI DEI TERMINI – il Quadrato rende conto delle relazioni mediante cui si costruiscono le categorie semantiche.
Le relazioni sono tre:
-contrarietà (ESSERE-APPARIRE e NON ESSERE-NON APPARIRE)
-contraddizione (APPARIRE – NON-APPARIRE e ESSERE – NON-ESSERE)
-complementarietà (NON.APPARIRE.ESSERE e NON-ESSERE-APPARIRE)
LE TEMATICHE DELL’OPERA DI LUIGI PIRANDELLO.
- Contrasto tra illusione e realtà: l’uomo ha bisogno di “calarsi” in una forma, in una condizione sociale che spesso contrasta con la sua anima. L’illusione sarà intesa come un inganno e la realtà quale meschino disinganno, di fronte al quale l’uomo è impotente.
- Le certezze dettate dagli stereotipi non esistono: La riflessione su di sé conduce e, allo stesso tempo, condanna l’uomo all’infelicità eterna e al pessimismo esistenziale. Vedendosi vivere, a differenza di quanto non facciano piante e animali, egli si rende consapevole della gabbia di convenzioni sociali che lo ostacola nel suo percorso di conoscenza e consapevolezza di sé. La logica, di cui è dotato, lo allontana dalla verità mutevole delle cose, dandogli l’illusione di poter fissare con criteri di assolutezza ciò che invece è imprevedibile, mutabile e casuale, come le vicende umane. Vedi “Sei personaggi in cerca di autore”.
- Il sentimento di alienazione dell’uomo moderno: L’uomo è, secondo Pirandello, “Uno, nessuno e centomila”, ovvero ciò che lui crede di essere, ciò che non riesce a essere e ciò che potenzialmente diventa attraverso lo sguardo altrui.
- Pessimismo pirandelliano: L’amore rientra nel novero delle illusioni e il male, che si compie più o meno consapevolmente, accentua il sentimento di colpa della condizione umana. Ogni forma in cui si svolge il vivere sociale è una trappola mortale, ogni maschera che indossiamo e ogni convenzione sociale, perfino l’istituzione del matrimonio.
- L’amletismo pirandelliano: L’amletismo pirandelliano, sulla cui falsariga il personaggio si ribella all’ipocrisia dominante delle convenzioni sociali, a tutto ciò che è precostituito ma, facendolo, soffre, è dominato da un senso d’inquietudine, in quanto la coscienza distrugge la vita. Il contrasto romantico tra sogno e realtà si trasforma così in contrasto amletico tra l’essere e l’apparire, l’essere e il non essere.
- La vita di Luigi Pirandello (1867-1936):
- L’infelicità come fonte d’ispirazione. Tanto ne soffriva da ragazzo che riusciva a dormire sì e no tre ore per notte. E di questa insonnia, forse la prima, in ordine di tempo, fonte d’ispirazione, ci parlerà nelle seguenti opere: “Il fu Mattia Pascal”, “La giara”, “La trappola”. La colpa era del padre, impegnatissimo nella sua miniera di zolfo, che non aveva mai tempo per dargli affetto.
- Poi è il turno della moglie Antonietta Portulano, donna gelosa fino alla patologia, su grande fonte. È un colpo di fulmine. Grandi, bellissimi occhi verdi, capelli rossi, un corpicino delizioso con le curve al posto giusto, l’uomo che si è votato alla castità a causa della malattia della moglie se ne invaghisce perdutamente e la elegge a interprete ideale dei suoi personaggi femminili.
- Marta non ricambierà mai il suo amore, se non con un affetto simile a quello di una figlia per un padre, o di un’allieva per il suo maestro. Marta non ricambierà mai il suo amore, se non con un affetto simile a quello di una figlia per un padre, o di un’allieva per il suo maestro. Si stabilirà così un rapporto davvero singolare, unico nel suo genere. Pensate che lei lo chiamerà sempre Maestro, dandogli del voi o del lei, mentre lui le darà del tu, chiamandola per nome, ovviamente. Lui lo definiva un amore casto ma in realtà lei aveva solo affetto e stima ma non passione. In una lettera. Pirandello scriverà: «La natura del mio sentimento per Te non può mutare, non può divenire soltanto affetto e basta. Così come da parte Tua un semplice affetto, nient’altro che affetto per me sarebbe per me come la morte. Tutta la mia vita sei Tu». Quest’ultimo amore non corrisposto che gli provocherà grandi sofferenze per ben 11 anni, fino alla sua morte, sarà la sua ultima fonte d’ispirazione. La felicità non trova spazio nell’opera del premio Nobel Pirandello. D’altra parte uno che fa dipendere la propria felicità da un’altra persona non ricercare la felicità. La motivazione del Premio Nobel è stata: «Si riconosce ch’egli è riuscito ad imporre al pubblico di tutto il mondo qualche cosa ch’esso detesta con tutto il cuore: le idee pure, tutto ciò che suscita inquietudini e lo fa dubitare di sé e dei solidi fondamenti dell’esistenza».
Come osserva il filosofo Remo Bodei, in Pirandello«si vede se stessi come l’estraneo che si ha di fronte, tentando l’esperimento impossibile di guardarsi come ci vedono gli altri (impossibile perché ci vorrebbero infiniti specchi, ciascuno dei quali desse un’immagine diversa)».
Il personaggio ha avuto una vita assai infelice.
Il maggior legame tra Pirandello e il film lo abbiamo con “Sei personaggi in cerca d’autore” che sembra il tentativo disperato, da parte dei protagonisti, di elaborare un gigantesco trauma (sulla scena ne succedono di tutti i colori, dal tentato incesto, al suicidio di un ragazzino, alla morte per affogamento di una bambina).
Ripetono, ripetono, ripetono i disastri accaduti. Coazione a ripetere. Fenomeno in cui tutti i protagonisti del film sono invischiati.
VINCE ripete che ama Cate
UMBERTO ripete che ama Betty
BETTY ripete il suo schema contraddittorio. Vuole una relazione libera però è gelosa
ROMEO ripete il padre, il suo idolo
LUDOVICA ripete le stesse azioni da arredatrice tutti i giorni
Vanno tutti in automatico senza accorgersi che in quello che fanno non c’è vita ma solamente ripetizione di schemi e concetti acquisiti ma che non fanno parte della loro unicità.
Ma quale unicità?
Sempre ricorrendo a Pirandello troviamo il netto contrasto tra la vita (ciò che dovremmo essere e che potenzialmente siamo) e la forma (ciò che sembriamo, la maschera che indossiamo, i ruoli), contrasto che ci rende scissi, separati dalla nostra essenza e preda di tutti i meccanismi omologanti e i condizionamenti che esistono.
Nessuno vive per se stesso e nessuno fa progressi. Rincorrono tutti una forma superficiale di amore stereotipo ma non esiste novità esistenziale.
Gli adolescenti non hanno esempi da seguire e gli adulti in questo non aiutano. Basta pensare al discorso finale che fa Umberto a suo figlio Romeo.
«Quando sei nato io ero poco più grande di te, sapevo che ti volevo ma non avevo idea che impegno fosse, credevo che sposandomi e diventando padre avrei saputo che cosa fare, credevo nelle regole che mi avevano insegnato e invece sai qual è la verità? Quella solo quando diventi padre, è che non cambi, hai le stesse paure, hai gli stessi difetti e non sai che cazzo fare ma sai che a tuo figlio devi dargli un’educazione.
Provi a raccontargli che tu sai come si fa ma tu non vuoi che lui faccia le tue stesse cazzate perche lo vuoi proteggere perché vuoi che lui abbia una vita migliore della tua.
Ma a volte fai cose diverse da quelle che insegni.
Credimi, tu non sei una delusione più di quanto non lo sia io. Un padre finge di essere un eroe e tu ti aspetti che lo sia ma non lo è.
Io sono come te ma solo un po’ più vecchio.
Tutto qua.
Vuoi sapere come ho fatto a fare tutto quello che ho fatto? Semplice, non ero felice e Betty mi ha fatto stare bene. Me ne sono fregato, sono stato egoista con te e con tua madre. Non dovrebbe succedere ma succede.
Tu sei mai stato egoista (rivolto al figlio)?
Il figlio annuisce.
«Allora sei diventato un uomo. Se non fai le scelte giuste sarai esattamente come me».
Betty fissa un appuntamento galanta con Umberto
Allestisce nella stessa camera d’albergo, dove s’incontrano sempre un copriletto rosso, con un babydoll nero, accanto al “Diario del seduttore” di Kierkegaard.
Simbolicamente adagiati nei due posti del letto matrimoniale.
Vediamo prima il libro quale significato ha.
DIARIO DEL SEDUTTORE di Kierkegaard
Johannes è un giovane seduttore senza scrupoli. La sua vita ha un unico scopo: sedurre ragazze e poi abbandonarle. Cordelia è una ragazza di diciassette anni molto ingenua: la vittima perfetta per Johannes, che le rovinerà l’esistenza. Protagonista del libro è la seduzione. Ma un tipo di seduzione particolare: quella intellettuale. Johannes è un seduttore che fa mille calcoli, che cerca di dominare la mente di Cordelia con mosse studiate. Il suo è un gioco astuto ed elegante. Poi, quando Crudelia è in suo potere, la abbandona, lasciandola disperata. Perché Johannes non cerca l’amore: gli interessa solo il potere che può avere su una donna. E appena la seduzione gli è riuscita, il suo carattere vanitoso è soddisfatto.
Può così passare alla donna successiva.
Si può fare un paragone tra il seduttore di Kierkegaard, Johannes, e il seduttore di Mozart, don Giovanni (il protagonista dell’opera musicale Don Giovanni). Anche don Giovanni passa di donna in donna, vive attimo per attimo. Si ferma sempre alla superficie: ama la bellezza femminile in generale, ma nessuna donna in particolare. Ama solo i corpi delle donne che conquista. Mentre don Giovanni cerca il possesso fisico della donna, Johannes ne cerca il possesso mentale. Cioè: Johannes vuole che la donna s’innamori di lui, in modo totale. Per ottenere ciò, Johannes s’innamora sempre almeno un po’ della donna. Al contrario, Don Giovanni, che ha un obiettivo più facile, non s’innamora mai. Insomma: Johannes mente alla donna e anche a se stesso, perché se la racconta. Il fatto che s’innamori fa parte della strategia. È perciò un seduttore più difficile da smascherare di don Giovanni. Don Giovanni, infatti, con la sua aria da bambino che vuole tutto, si mostra subito per quello che è. Don Giovanni inganna solo la donna che vuol essere ingannata. Johannes, invece, può ingannare qualsiasi donna.
Entrambi i seduttori hanno però una cosa in comune: hanno avuto molte donne, ma non ne hanno mai conosciuta una. Cioè: nessuno dei due sa chi è davvero una donna. Perché non sono mai stati interessati a scoprirlo. Entrambi conoscono le tecniche per fare una conquista, ma non conoscono l’anima di una donna.
Altri elementi simbolici della scena.
Un copriletto rosso intenso, petali di rosa ovunque sparsi sul letto. Champagne, candele ovunque per ricreare lo stesso ambiente della scena della vasca da bagno dove lui ha interrotto per andare a cena con la moglie. MA LEI NON C’È.
La messa in scena di Betty vuole essere un continuo di quella interrotta allora.
In lei è comparsa la paura di sentirsi abbandonata perché la moglie esiste e non può essere sconfessata. Il solito stereotipo femminile dell’esclusività.
La scena parla di passione, biancheria intima nera, candele, petali di rosa, ma il fatto della sua assenza (di Betty) è un atto di accusa a chi riveste i panni del seduttore.
Betty lascia un messaggio a Umberto che gli è consegnato quando ancora è nella stanza d’albergo.
“Caro Umberto questa è la sensazione di vuoto che provo ogni volta che te ne vai. Ora la conosci”
Una piccola vendetta per tutti gli imprevisti che ha avuto Umberto quando era con lei. Lei gli dice che all’inizio passava la notte intera fuori ad aspettarla adesso i suoi “mi spiace ma non posso” si moltiplicano
Il comportamento di Betty è schizofrenico. Da una parte vuole un amore libero e dall’altra è gelosa.
Ma poi è davvero amore?
Romeo viene stimolato ad andare contro Vince
Vince fa la ricerca e Romeo, figlio del Prof Fioravanti, e lui per ringraziarlo lo porta a divertire. Romeo gli consiglia di non considerare le donne perché è così che vengono dietro.
A cena con i genitori Vince afferma che da grande vuole fare l’ingegnere in mezzo al plauso generale. Lo invitano a venire nella loro azienda quando si laureerà. Il padre (Prof Fioravanti) di fronte al figlio col quale ha un pessimo rapporto che accusa sempre d’incapacità, dice a Vince: «Bravo, ingegnere. Hai le idee chiare. Però per diventare ingegnere devi studiare tanto».
Infatti, il figlio che assiste alla discussione afferma che Vincenzo ha tutti 9 e 10 e non gli serve la predica (come fa sempre a lui).
Qui Romeo prepara psicologicamente il tradimento dell’amico soffiandogli la ragazza cui lui teneva tantissimo.
La madre di Romeo, accusa il padre di mettere in difficoltà il figlio di fronte ai suoi amici. Si tratta di una tendenza borghese quella di coprire sempre i membri della famiglia quando sbagliano.
Lei non vive, ha una relazione che fa acqua da tutte le parti, una dubbia stabilità emotiva confinata nell’ossessione per l’arredamento, ma l’apparenza si deve sempre salvare.
Lei lo accusa di essere ipocrita. Lo sono entrambi.
Dalla falsa relazione sentimentale all’omologazione il passo è breve

In apparenza il film pare intessuto di storie d’amore. Alcune s’infrangono sugli scogli della vita altre cercano di prendere il largo.
Se guardiamo con attenzione nessuna di queste storie ha le potenzilaità per evolvere nel tempo. Sono tutte monche e affogate in una ossessione sessuale.
Ma soprattutto tutti sono vittime di un conformismo che li rende tutti uguali. Visto uno, visti tutti.
Paiono telecomandati da remoto, ormai ricoprono solo la funzione di device passivi. In apparenza il film sembra intessuto di storie d’amore: Alcune s’infrangono contro gli scogli della vita e altre cercano di prendere il largo. Ma se guardiamo con attenzione nessuna di queste storie ha le potenzialità per evolvere nel tempo. Sono tutte monche e ferme in una ossessione sessuale. Sono vittime di una omologazione che li conforma a dei modelli anti umani. I loro comportamenti sono intrisi di gelosia, passione, rabbia, violenza. Questi sentimenti si alternano ma immancabilmente conducono al “nulla” esistenziale. Sono tutti uguali, visto uno, visti tutti.

Omologazione e conformismo
L’omologazione è un processo sociale inevitabile, che coinvolge chiunque e al quale nessuno sfugge.
Hai presente una lingua?
Inglese, francese, cinese, non ha importanza. Una lingua è un codice che devi conoscere se vuoi comunicare con altre persone che conoscono solo quello.
Ha una sua utilità.
Il passaggio dall’omologazione al conformismo è uno spettacolo al quale ormai siamo abituati.
L’omologazione corrisponde al modello che le persone devono adottare.
Il conformismo è l’azione di adeguamento che le persone prima mentalmente omologate, poi compiono.
L’omologazione deriva dal greco omologhéo, composto da omo e logos = discorso simile. L’immagine che emerge è un insieme armonico e partecipativo.
Nella nostra società l’omologazione si riduce a un atto corrispondente a una norma, a un modello sia nel processo sia nel risultato. In questo no c’è spazio per la diversità. Il “noi” prende il sopravvento sul singolo. I tanti Io che vogliono esistere devono resistere all’etichettatura di diverso, ribelle, pecora nera.
Da un concetto di massima condivisione siamo passati alla eliminazione di ogni minima diversità. Si sradica il principio vitale dell’esistenza: l’unicità di ogni essere umano, si perde quel piano di consonanza cui ogni saggio ha sempre teso.
Il conformismo deriva dal latino conformem, composto da cum e forma = che ha la stessa forma, concordante.
Nessuno meglio del cantante Giorgio Gaber (1939-2003) nel suo album “Gaber 96/97” uscito nel 1996 per GIOM. ha saputo creare il profilo del perfetto conformista:
Io sono
un uomo nuovo
per carità lo dico in senso letterale
sono progressista
al tempo stesso liberista
antirazzista
e sono molto buono
sono animalista
non sono più assistenzialista
ultimamente sono un po’ controcorrente
son federalista.
Il conformista
è uno che di solito sta sempre
dalla parte giusta, il conformista
ha tutte le risposte belle chiare
dentro la sua testa
è un concentrato di opinioni
che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani
e quando ha voglia di pensare
pensa per sentito dire
forse
da buon opportunista
si adegua senza farci caso
e vive nel suo paradiso.
Il conformista
è un uomo a tutto tondo che si muove
senza consistenza, il conformista
s’allena a scivolare
dentro il mare della maggioranza
è un animale assai comune
che vive di parole da conversazione
di notte sogna e vengon fuori
i sogni di altri sognatori
il giorno
esplode la sua festa
che è stare in pace con il mondo
e farsi largo galleggiando
il conformista
il conformista.
Io sono
un uomo nuovo
e con le donne c’ho un rapporto straordinario
sono femminista
son disponibile e ottimista
europeista
non alzo mai la voce
sono pacifista
ero marxista-leninista
e dopo un po’ non so perché mi son trovato
cattocomunista.
Il conformista
non ha capito bene
che rimbalza meglio di un pallone
il conformista
aerostato evoluto
che è gonfiato dall’informazione
è il risultato di una specie
che vola sempre a bassa quota in superficie
poi sfiora il mondo con un dito
e si sente realizzato
vive
e questo già gli basta
e devo dire che oramai
somiglia molto a tutti noi
il conformista
il conformista.
Io sono
un uomo nuovo
talmente nuovo che si vede a prima vista
sono il nuovo conformista.
L’omologazione viene prima perché lavora sulla coscienza dell’individuo il quale perde coscienza di sé e delle sue possibilità e sostituisce al proprio interno molte sue potenzialità evolutive con un adattamento rigoroso al proprio compito. Un incarico settoriale, parcellizzato di cui non ha coscienza né di ciò che lo precede, che sta prima della sua entrata in gioco, né dello scopo finale.
Il conformista rappresenta il passo successivo. La persona incarna i voleri del Dominio a ogni respiro. Ha il terrore di non piacere a chi ha potere su di lui. Anela a conformarsi agli standard sociali e ai modelli culturali dominanti standardizzati, con la perdita della propria specificità
Il mondo in cui viviamo deve essere percepito come l’unico possibile al quale non ci sono alternative. E questo viene continuamente rinforzato dai tanti valori che oggi sono commercializzati e che fungono da riferimento di tante psicologia e tanti coach.
I valori sono solamente dei coefficienti sociali, degli ordini in codice che il Dominio stabilisce di volta in volta per raggiungere i suoi scopi attraverso l’umanità. Se questi sono i valori da considerare per la propria crescita andrai poco aventi!
Alla fine tutto rientra nella normalità. Tutto assume un aspetto familiare e abitudinario. La tranquillità della ripetizione sostituisce il desiderio di avventura.
Trionfano il cognitivismo e il comportamentismo, scienze dell’adattamento. Anche se parlano tanto di essere “la versione migliore di se stessi”, nei fatti promuovono una completa aderenza al sistema.
Cercare veramente di capire chi siamo è percepito come una patologia. Essere se stessi è una malattia socialmente riconosciuta.
Spuntano come funghi le “psicologie easy” dove con poco sforzo, seguendo un guru, un maestro e leggendo due libri di successo, troverai tutte le risposte alla tua vita.
Questo argomento lo affronterò in maniera adeguata nel libro di prossima pubblicazione su questo film.
Intanto ti lascio con le parole del mistico Jiddu Krischnamurti che scriveva: «Ogni guru è una trappola. Ogni leader è un tiranno.
Ogni maestro confonde.
La malattia del secolo si chiama “dipendenza”.
È ridotta a una debole luce il contatto con la propria anima.
Se fossimo in contatto col nostro cuore profondo, cioè il luogo reale dello spirito, non accetteremmo nessun leader, nessun maestro, nessun guru. Saremmo indipendenti. Svegli, vigili, autonomi non automi.
Il maestro sei tu. E dentro c’è anche tutto quello che serve».
E ancora.
«Sai cosa significa imparare? Quando impari veramente, impari dalla vita; non c’è un insegnante particolare da cui imparare. Tutto ti è di insegnamento: una foglia morta, un uccello in volo, un profumo, una lacrima, il ricco e il povero, coloro che piangono, il sorriso di una donna, l’alterigia di un uomo. Impari da ogni cosa, quindi non hai bisogno di guide spirituali, di filosofi, di guru. La vita stessa ti è maestra, e tu sei in uno stato di costante apprendimento».
I personaggi evolvono durante il film?
Vince si mette l’animo in pace con Cate.
L’amicizia con Romeo l’ha fatto sentire più sicuro di sé.
Alla fine Vince gioca a palle di neve con Romeo e con Cate.
Si vede nell’ultima scena che lui comincia a scrivere il suo futuro libro “Nessuno come noi”.
Ma non è una vittoria.
Dentro Vince è l’eterno secondo rispetto a Romeo: infatti, quando i due si chiariscono, Vince chiama Romeo col soprannome di “Maverick” che era il nome del protagonista. A lui spetta un più morigerato “Goose” (oca) che era il nome del suo secondo pilota. Vince non vince proprio niente.
Vince anteponendo l’altro a sé non è giunto a comprendere l’importanza della propria persona.
Se diventerà uno scrittore porterà dentro le sue storie il suo errore esistenziale.
Cate ottiene il maschio che le piace, Romeo. Il maschio, non l’anima.
Altro non poteva desiderare.
Umberto va con Betty a Milano. Si chiarisce col figlio confessando la sua pochezza. Chiarisce con la moglie separandosi. Bisognerà vedere col tempo come andrà quella relazione che praticamente si basa su un sesso ossessivo. Troppo poco per durare.
Betty si trasferisce a Milano con Umberto.
Come vedi tutto gira intorno ai rapporti sessuali scambiati per sentimenti.
Ma non si nota consapevolezza in nessuno.
STANNO TUTTI GIRANDO NEL SOLCO DEL DISCO
CHE COMPARE ALL’INIZIO
Infatti la scena principale di questa parte è quella in cui Betty prende il treno: il treno simbolicamente è un mezzo che ti trasporta su un binario prefissato, da una stazione x a un’altra y. Si tratta di un viaggio apparentemente valido che indica momentaneamente una vita tranquilla, ma che in seguito rivelerà inesorabilmente gli scatti della ruota dentata. Tu non puoi “scegliere” dove andare s/o fermarti. Quello è il percorso già tracciato e a quello ti devi attenere.
Ma se è vero che siamo tutti unici com’è possibile che un percorso già prefissato possa andare ugualmente bene?
Nella simbologia del sogno significa ripetizione degli stessi stereotipi. Il linguaggio per immagini dei film è analogo al linguaggio onirico.
La stessa metafora del solco del disco come vedi si ripete.
Il titolo andrebbe cambiato in “NOI SIAMO COME TUTTI” poiché NESSUNO È VERAMENTE SE STESSO E/O CERCA DI DIVENTARE TALE.
Tutti si adeguano agli stereotipi conosciuti e portati avanti dalla società.
L’autentico dramma è che non c’è nel film alcun esempio cui i giovani possano fare riferimento. Proprio come nell’attuale società.
Maurizio Fani