Il nome è a dir poco odioso. Depressione è un’etichetta, un’identificazione semantica, che si porta dietro tutto un costrutto di affermazioni, di sensazioni di pensieri, ben precisi. Non lascia scampo: se sei depressa, sei così.
La persona è stigmatizzata, e non è una cosa buona.
Dal latino depressio = deprimere, portare a un livello più basso, umiliare, avvilire.
Questo rappresenta l’inizio del dramma che oltre trentatremilioni di persone vivono in Europa. Tre milioni solo in Italia. Una ricerca della “World Health Organization” prevede che, entro il 2020 la depressione maggiore rappresenterà il disturbo più frequente al mondo.
Si tratta della principale malattia mentale esistente. E le cifre di qui parlo si riferiscono solamente alla depressione riconosciuta dagli esperti. Non tengono conto di tutte le persone che, in maniera meno marcata, vivono stati depressivi, dall’insonnia alle crisi di panico.
Le donne sono sempre le più colpite il doppio dei maschi.
Stime attendibili parlano del 25% delle donne e del 12% dei maschi.
I suoi sintomi sono tutti ben noti:
– Stato di avvilimento e di sconforto che può sfociare nella disperazione.
– Perdita d’interessi e del piacere di vivere fino a giungere all’algofilia, cioè quel senso morboso di piacere e di soddisfazione provocato dalla sofferenza fisica (propria, o anche di altri), che si concretizza con la ricerca di situazioni dolorose. Una specie di autopunizione.
– Alterazioni dei ritmi del sonno: dormire poco oppure troppo, fino alla letargia (sonno continuo).
– Alterazioni del peso corporeo, ingrassare per la fame nervosa o dimagrire a causa dell’inedia.
– Riduzione o perdita di energia (astenia) sia muscolare (miastenia) sia psichica (nevrastenia), facile affaticamento.
– Ridotta capacità di concentrazione.
– Pensieri negativi e limitanti ricorrenti, mancanza di visione del futuro, auto svalutazione, sensi di colpa, ipercritica personale, senso d’inadeguatezza, tendenze suicide.
– Rimuginare ossessivamente su fatti del passato (ruminazione).
– Perdita del desiderio sessuale.
– Evitamento sociale, solitudine.
Lo stato depressivo è un vero inferno per chi cade dentro la sua trappola.
Come ho scritto in apertura l’essere identificati con il termine “depresso”, prepara la strada del patibolo. E non potrebbe essere altrimenti.
Perché?
Ora te lo spiego ma prima è bene che tu sappia che ho avuto molte persone depresse come clienti e le possiamo distinguere in due gruppi distinti:
– chi voleva uscire dal problema;
– chi aveva bisogno del problema.
A prima vista può apparire un atto irrispettoso della sofferenza altrui ma così non è, anzi è l’esatto contrario.
È fuori discussione che la persona depressa non simuli la sofferenza.
Sta veramente male e anche molto.
Praticamente sperimenta la morte mentre vive.
Ho sentito persone ricche invidiare dei clochard perché, nonostante la vita misera, comunque si sentivano vivi, mentre loro non più.
La depressione con tutta la sua ricca sintomatologia non irrompe improvvisamente nella vita. Inizia lentamente con molte avvisaglie e prima che l’individuo ne sia cosciente, impiega anni, durante i quali si struttura in una nutrita varietà di pensieri, atteggiamenti e comportamenti.
La medicina oggi identifica alcune cause concomitanti:
– elementi ambientali;
– elementi psicologici;
– fattori genetici.
Questi tre fattori combinati insieme, sarebbero responsabili degli stati depressivi.
Comprendo benissimo questa eziologia (il motivo che causa una patologia) ma non posso concordare. Se così fosse stiamo parlando di due componenti, i fattori ambientali e le determinazioni genetiche, che non possiamo controllare se non in minima parte. Pensare al cervello come un mero scambio chimico continuo è davvero limitante e sbagliato. È scientificamente provato che l’essere umano è in grado di gestire la propria chimica, modulando i flussi che la riguardano.
Qualcosa di più si può fare a livello psicologico ma in che modo? Quale strategia scegliere? Quale scuola? Quale orientamento clinico?
Le cure previste sono essenzialmente due:
– Psicoterapia, in particolare quella a indirizzo comportamentale e cognitiva (ritenuta la più idonea nel 2011 dal “National Institute for Health and Clinical Excelence, NICE”) per mutare le credenze e le opinioni del soggetto su di sé e nei confronti del mondo.
– Psicofarmaci ansiolitici, antidepressivi e regolatori dell’umore fino a giungere. Nei casi più gravi, al ricovero ospedaliero.
–
È vero che molti considerano l’apporto farmacologico come risolutivo e ne incentivano l’uso fin dalla comparsa del primo evento depressivo. Per quel che mi riguarda questi medicinali, vanno usati solo alla presenza di una sintomatologia importante, che rende difficile il quotidiano, tanto per riprendere un minimo equilibrio ma non vanno intesi come “cura” ma solo come momentaneo supporto. Anche perché lavorano solo sui sintomi e non sulle cause e inoltre gli effetti collaterali, talvolta pesanti, non mancano.
Fino a qui abbiamo esposto in breve il problema.
Ma se uno si sente depresso che deve fare?
La prima considerazione che mi sorge spontanea è quella di capire se esistono effetti scatenanti oggettivi: perdita del lavoro, abbandono, delusione sentimentale, lutto, parto, un trauma specifico, nel qual caso l’intervento è ben diverso.
PERCORSO SUGGERITO
Stabilito che non c’è alla base uno specifico evento traumatico scatenante, ti mostro il sistema che ho sempre applicato con successo. Ho suddiviso l’argomento depressione in più parti, per non costringerti a un eccessivo lavoro di memoria e metabolizzazione.
Ogni parte corrisponde a un’osservazione che ho potuto dedurre dopo molti anni di esperienza. Segue una mia analisi di un film che evidenzia nei fatti ciò che io scrivo e che ti può aiutare nella comprensione.
In successivi post riporterò alcuni sogni di persone con depressione per interpretarli con te.
Questo percorso si è rilevato nel tempo assai fruttuoso. Spesso le persone depresse trovavano interessante e anche divertente seguirlo. Senza essere affossate nella depressione ne parlavano con i film e con i sogni, fino a giungere a capire dei concetti che altrimenti difficilmente sarebbero state disponibili ad ascoltare.
Per prima cosa è necessario stabilire quanto la persona vuole davvero risolvere. Come ho già affermato all’inizio molte persone sanno bene che cosa non va nella loro vita ma per pigrizia e paura decidono di fare finta di niente e andare comunque avanti. La depressione potrà solo peggiorare nel tempo poiché il messaggio che essa porta con sé è rivolto al malato e gli sta comunicando che il modo in cui conduce la sua vita, col tempo lo annienterà.
La società ha previsto delle situazioni, dove collocare questo tipo di malato, cliniche, ospedali, il proprio domicilio. Sono dei “binari morti” dove collocare quelle persone che per qualunque motivo si lasciano sopraffare dalla patologia.
Occorre impegno e attenzione. Chi non è disposto a investire del proprio sarà inghiottito dai farmaci e da tutto quel mondo già considerato che lo assorbirà e manterrà come “eterno malato”. Avrà così la compassione di molti e sarà riconosciuto. Non a caso la depressione è stata inquadrata da molti scienziati come “malattia della volontà”.
Il percorso è interiore ma non deve essere confuso con tutte le teorie, religioni, scuole o movimenti che già esistono. Questo sentiero non ti dice che cosa devi fare, non è direttivo. L’unico scopo è di farti pensare in maniera critica e autonoma perché tu sia in grado di agire da sola nel soddisfare i tuoi bisogni più profondi, quelli dell’Essere. Sarai tu a farlo e nessun altro.
Io non posso, non voglio e non devo.
Avrai solo degli strumenti nuovi da utilizzare.
Partiamo con la prima osservazione che è il fulcro di questo primo post sull’argomento.
OGNI ESSERE UMANO DEVE RICONOSCERE E SODDISFARE I PROPRI BISOGNI. Feud affermava che la psiche è lo spazio che intercorre tra i nostri desideri e la loro realizzazione.
La depressione è un sintomo ma non è la patologia. Il vero male è la mancanza di attenzione alla propria esistenza, il non rispetto di sé e un continuo anteporre gli altri ai propri talenti, desideri, iniziative.
Il sacrificio inteso come valore sociale edificante e condiviso è una dei principali errori commessi.
Tutto questo c’è insegnato dalla nostra cultura e la società non fa altro che applicarlo e pretenderlo dai suoi membri.
Questa è una tecnica del potere che ha bisogno di persone che non pensano e che non agiscono. Si tratta di manipolazione mentale.
Quella disperazione, quell’inazione del depresso testimonia proprio quest’aspetto. La depressione più che un problema con gli altri è una difficoltà con se stessi.
La depressione corrisponde a un senso di vuoto e d’inutilità che la persona sperimenta in modo permanente. Ed è comprensibile. Le persone corrono, lavorano, si affannano nella vita quotidiana ma spesso perdono di vista la cosa più importante: se stesse.
Prendiamo il famoso film “La vita è meravigliosa” del 1946 del regista Frank Capra con James Stewart e Donna Reed.
Tratto dal racconto “The Greatest Gift” (Il grande dono), scritto nel 1939 da Philip Van Doren Stern, è considerato uno dei film più amati del cinema americano, tradizionalmente visto durante le festività natalizie.
Il film ottenne cinque candidature ai premi Oscar. Nel 1990 fu scelto per la conservazione nel “National Film Registry” della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, e nel 1998 la “American Film Institute” lo inserì nella lista dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi.
LA STORIA DEL FILM
George Bailey fin da ragazzo si prodiga per tutti. Ogni volta che lo fa, subisce un danno.
Salva il fratello dall’annegare in un laghetto ghiacciato e ci rimette l’udito dell’orecchio sinistro.
Si accorge che le pillole che il suo datore di lavoro aveva confezionato per il bambino di una signora, in realtà erano avvelenate perché il vecchio farmacista non si era accorto del veleno, ed è preso a ceffoni proprio da lui.
Abbiamo un ragazzo che ha già ben chiaro che cosa vuole fare da grande: girare il mondo e fare l’esploratore.
Vuole fare grandi cose.
Il film ci porta a un George già adulto, in partenza per l’università.
George è a tavola col padre, lo convince ad accettare il fratello più giovane Harry, in azienda, al suo posto.
Il padre gli risponde: «Tu nascesti già grande». Con questa frase rifiuta la soluzione suggerita da George.
Il giovane con la mente è già dopo l’università. Vuole costruire case in maniera nuova, non vuole passare la vita in ufficio. Vuole fare qualcosa di grande e di bello. Vuole costruire ponti lunghi un miglio, alti grattaceli, girare il mondo, andare in Italia, in Grecia e in altre nazioni.
Non ha la visione limitata del padre sa che se rimane lì diventerà pazzo.
IL padre muore e lui rimanda il suo viaggio per mandare avanti l’azienda.
Il padre Peter Bailey non aveva altro modo per trattenere il figlio che metterlo di fronte a un’emergenza.
George Bailey dovrà affrontare sempre delle emergenze, sacrificarsi per esse ma perdere se stesso. L’unica vera urgenza non riesce a soddisfarla: vivere la propria vita.
Ama il rumore del treno che parte, ma non riesce mai a prenderlo.
Potter, l’uomo più ricco del paese, dice che Peter Bailey non era un uomo d’affari e questo l’ha ucciso, Era un grande idealista, ma gli ideali scompagnati da un senso pratico possono rovinare le aziende. Il padre non ha mai pensato a se stesso ma ha aiutato molte persone a uscire dai problemi facendo in modo che si potessero permettere una casa, creando una piccola società di prestiti e mutui, per non far sottostare la gente alle angherie economiche dello squalo Potter.
Per sostituire il padre, rinuncia al viaggio e all’università.
Si pone a capo della “Bailey Costruzioni e Mutui”, una piccola e modesta cooperativa di risparmio fondata dal padre Peter.
La madre cerca di convincerlo a sposare Mary, una ragazza che fin da piccola è sempre stata innamorata di lui. Lui non vuole il matrimonio, vuole fare altre cose ma non ci riesce.
Sposerà Mary.
È incapace di azione egoica riuscita.
Rinuncia al viaggio di nozze. Non riesce ad andare in viaggio di nozze perché i soldi gli servono per non consegnare la società in mano al ricco e scorretto Henry Potter.
L’affarista Potter non va visto come approfittatore ma come personaggio che intuisce il passaggio funzionale di George Bailey. Le sue analisi sono sempre molto reali e veritiere.
Lui sostiene che il giovane George è in trappola, e che odia la società di suo padre al pari di quanto la odia lui (Potter).
Gli fa i conti in tasca. 45 dollari a settimana con madre, moglie e casa da mantenere sono davvero poca cosa. Lui è giovane ha 27/28 anni e non è vecchio come lui. E quando avrà dei bambini?
Henry Potter ha intuito che il ragazzo vale. Lo vuole con sé a gestire tutti i suoi affari. In cambio, per iniziare gli offre 20.000 dollari l’anno.
Gli dice che potrebbe vivere nella casa più bella, comprare i migliori vestiti a sua moglie e fare dei viaggi in Europa.
«Ti dispiacerebbe George? È arrivata la tua fortuna sempre che tu abbia il cervello per accettarla».
Gli offre un contratto per tre anni. Ben 60.000 dollari!
George vuole rifletterci su almeno 24 ore. Poi ci ripensa e lo tratta male.
Torna a casa con i propositi di andare in giro per il mondo a fare delle cose grandi, rimugina: «Mi scrollerò dalle scarpe la polvere di questa città».
Due bambini, una casa ristrutturata, mai abbandonata la cittadina.
Tutti quelli che sono andati via da Bedford Falls hanno fatto carriera sia civile sia militare.
Esentato dal servizio militare a causa della sordità da un orecchio, è nominato guardia antiarea, si occupa della campagna per la carta per i rottami e per la gomma.
Ma George continua ad aiutare tutti. Fa prestiti a tutti. E non fa niente per se stesso.
Potter approfitta della distrazione di un dipendente di George e gli ruba 8000 dollari, necessari per pareggiare il conto in banca.
George è sconvolto, tratta male i figli e la moglie, si lamenta perché vive in una casa piena di spifferi che non ama e ha fatto tanti, troppi bambini (ben quattro).
Ha una crisi e spacca dei mobili di fronte ai suoi figli e alla moglie.
Va a chiedere 8000 dollari in prestito a Potter, proprio quello che glieli ha sottratti. Potter coglie l’occasione al balzo. Lo vuole distruggere perché lui è l’unico ostacolo che gli è rimasto per controllare l’intera cittadina.
Usa questo fatto per incolparlo:
«Gli hai usati per giocare in borsa?»
«Gli hai dati a una donna, Violet?»
Lo stigmatizza come un padre fallito incapace di offrire alcuna garanzia.
Potter vuole denunciarlo per i suoi miserabili fini economici e in questo modo avrebbe campo libero, lo farebbe arrestare per bancarotta.
George è disperato, non sa più che cosa fare. Prega il suo Dio
Ha una polizza sulla vita in essere di quindicimila dollari e pensa di suicidarsi gettandosi in acqua.
Ora ferma il film in questo punto esatto.
Che cosa sta succedendo a George Bailey?
Non ha mai pensato a se stesso, ha sempre lottato per le cause di altri.
Ogni volta che lo faceva lui, cancellava una parte di sé.
– Aiuta il fratello ma diventa sordo.
– Salva un bambino e il farmacista ed è preso a schiaffi.
– Deve gestire l’azienda e rinuncia all’università.
– Si sposa e rinuncia al viaggio di nozze.
– Aiuta tutti regalando denaro ma lui rimane senza.
Tu dirai che ha fatto bene, che è giusto, essere generosi e aiutare i meno fortunati. Sono d’accordo con te ma se io muoio Il mondo continua ma la vita per me è finita.
Non puoi dare se non hai per te stesso.
Puoi aiutare gli altri solo dalla pienezza di te stesso. Sacrificare tutto, rinunciare a tutto per gli altri, alla fine si paga.
Infatti, George che cosa ha fatto? Invece di seguire il suo sano istinto vitale, viaggiare, conoscere, studiare, costruire, ha sostituito tutto questo bel mondo che lo stava aspettando con un insieme di stereotipi: lavoro, matrimonio, figli, casa.
Ha svenduto se stesso per i valori della famiglia, che tutti difendono per condizionamento mentale ma che pochi vanno a verificare se le credenze che le persone hanno sono vere.
Ti sembra un uomo felice George?
Ti sembra che ami la moglie e i figli?
Ti sembra che ami la casa dove vive?
Ti sembra che ami l’azienda di mutui e prestiti?
La risposta a tutte queste domande è NO.
Si vede chiaramente, sono i fatti che parlano non le opinioni o le morali.
Grazie alle scene del film la realtà l’hai di fronte agli occhi.
LO ZIO SAM
A questo punto entra in gioco lo zio Sam.
«Quell’uomo stasera penserà di buttare via il più grande dono che Dio gli ha dato». Questa frase pronunciata nell’alto dei cieli, va saputa leggere.
George Bailey HA GIÀ GETTATO VIA UNA PARTE DELLA SUA VITA. Non è che il suicidio sia l’unico atto con il quale si annulla una vita. Anche rinunciare a tutte le occasioni e opportunità rappresenta un atto contro la vita.
Dio, sollecitato dalle tante invocazioni d’aiuto, manda sulla terra un angelo per impedire che George si suicidi. Quest’angelo “Clarence”, non è intelligente, non ha neanche le ali, ha l’intelligenza di un coniglio ma il cuore puro come un bambino (così dicono). Clarence è un orologiaio, che porta sempre con sé il libro di Tom Sawier. Anche in questo testo c’è la storia di una libertà mancata a causa degli stereotipi familiari.
Tom, insieme ai suoi amici, prende una zattera e raggiunge un’isola in mezzo al fiume Mississippi. Qui i ragazzi sperimentano la gioia della libertà e per alcuni giorni sono veramente felici. Poi subentra la nostalgia di casa e decidono di ritornare sui loro passi.
Questo inserimento di carattere religioso muta l’intero significato del film. Da una storia ricca di fallimenti esistenziali nasce una poderosa manipolazione mentale.
Vediamo.
LA MANIPOLAZIONE
Generalmente a questo film è data una spiegazione idilliaca.
A tutti i suoi clienti, George non fornisce solo la sua professione, ma anche tutta la sua umanità, il suo altruismo e la sua generosità.
Quello che riceve George è il “il più grande regalo” che potesse avere, “The Greatest Gift”, cioè il contenuto dell’omonimo racconto di Philip Van Doren Stern, da cui il film è tratto.
È il film che, più e meglio di qualunque altro, ha saputo racchiudere ed esprimere il valore del Natale come veicolo di fiducia incrollabile nel potere della solidarietà umana.
In effetti, tutte le persone che ha aiutato in tutta la sua vita si stringono intorno a lui e lo aiutano donando tutto il denaro di cui possono privarsi.
Anche l’amico Sam gli mette a disposizione 25.000 dollari.
Il film a prima vista è il tripudio della solidarietà e della riconoscenza.
I sacrifici sono stati ricompensati quindi… vale la pena di farli.
E proprio con questa frase, ci riallacciamo all’altra verità di questo film.
Una verità più nascosta e mai svelata, semplicemente perché è ben non rivelarla.
Immagino che tu sappia che i film sono delle finzioni e che spesso sono usati a livello governativo per indurre nella massa un determinato modo di pensare e di comportarsi.
Ti faccio un esempio: il film “Casablanca” del 1942 con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Scambiato per un’intensa storia d’amore, il film trova la sua ragione d’esistere in Roosvelt e nell’entrata in guerra dell’America.
L’America viveva nella paura di un attacco degli U-Boot nazisti, e il Presidente Delano Roosvelt, conobbe personalmente Humphrey Bogart e Ingrid Bergman.
Quando sono iniziate le riprese, la sceneggiatura non era completa, al suo posto c’era solo un canovaccio. Non è mai stato un film sentimentale come tutti credono.
Fu un film di propaganda bellica su due fronti: sul fronte interno per convincere gli americani a entrare loro malgrado in guerra, e sul fronte esterno fu un messaggio al mondo che mostrava l’America come l’unica soluzione possibile capace di fermare il nazismo. Il film fu recitato quasi interamente da profughi e in una scena, quando nel bar di Rick si canta la Marsigliese, gli attori piangevano davvero.
Allo stesso modo, solo qualche anno più tardi, l’America aveva bisogno di infondere fiducia nella popolazione, provata dai sacrifici del periodo bellico e del retaggio, ancora presente della crisi del ‘29.
La società statunitense allora era tutta concentrata nei valori familiari e viveva nelle piccole cittadine proprio come Bedford Falls. Non fu a caso che il film uscì negli Stati Uniti il venti dicembre 1946, al Globe Theatre di New York, a soli cinque giorni dal Natale.
E dopo oltre settanta anni rimane il film più trasmesso in assoluto da ogni emittente televisiva americana durante il periodo natalizio.
In questo film si pone l’accento sullo stereotipo sociale del Natale, dove tutte le persone diventano più buone. Il periodo in cui accadono i miracoli come il salvataggio dell’azienda di George Bailey.
Ma è veramente così?
No.
La vita ha parametri diversi dalle morali sociali.
La vita non ha opinioni ma solo se stessa.
Un individuo può e deve donare solo se ha raggiunto la pienezza di se stesso, altrimenti trascorrere una vita come George Bailey porta solo al suicidio, all’auto eliminazione che può avvenire tramite malattia o incidente.
La frustrazione esistenziale è il più grande errore che un essere umano può commettere nei propri confronti.
Non si tratta solo di piacere ma di esigenze profonde dell’anima.
Non si può rinunciare a tutto quel bello e buono che ogni persona porta dentro di sé, se questo avviene, hai commesso il più grave atto contro te stesso che esiste.
Sei tu il principale responsabile di tutti i disastri che accadranno e non c’è sfortuna o malasorte da invocare.
Solo la propria inefficienza esistenziale.
Rinunciare alla propria vita non vuol dire essere buoni e generosi ma assassinare la propria forza vitale, la propria intelligenza, il proprio amore.
Se ti va di seguirmi in questo percorso, procurati il film e guardalo. Poi soffermati sui punti che ti risultano ostici, che nonostante la spiegazione fatichi a considerare tali, perché è proprio su quelli che dovrai lavorare.
Questi commenti poi stimoleranno anche i tuoi sogni sull’argomento e quello rappresenterà altro importante materiale da valutare e da utilizzare.
Le persone depresse sognano molto di più degli altri, anche il doppio o il triplo.
Come vedi gli strumenti ci sono e funzionano.
L’importante è che tu lo voglia.
Sulla depressione ci saranno diversi altri post, con diversi piani d’osservazione, supportati da molti altri film e con l’analisi di molti sogni fatti da persone malate, in via di guarigione, e definitivamente uscite dal problema.
La soluzione c’è ma tu ci sei?
Questo è un percorso adattissimo a tutti, non solo ai depressi. In realtà è un allenamento alla salute, alla vita, all’amore di sé.
Maurizio Fani