1. LA TRAMA
  2. L’INDOMINABILITÀ
  3. LA CRITICA
  4. IL DOMINIO
  5. LA POSSIBILE SOLUZIONE DEL MERCATO PARALLELO
  6. CONCLUSIONE

 

Questo film è adattissimo in questi tempi di COVID 19.

Perché?

Perché ha il pregio di arrivare dritto al cuore del problema.

Mette in chiara luce l’insieme di cause che hanno permesso alla gran parte di questa improvvida umanità di giungere, in brevissimo tempo, a un confinamento esistenziale planetario mai visto prima.

Non parlerò certamente del virus. 

Invece parlerò di questo film proprio perché adesso, FORSE, potrebbe rappresentare la possibilità di iniziare ad avere prospettive molto diverse da quella dominante.

 

1) LA TRAMA

La trama del film vede un famoso antropologo, Ethan Powell (Anthony Hopkins), che ha studiato i gorilla per tanto tempo, sparire nella foresta per due anni passati a vivere con i gorilla di montagna facendo parte del gruppo.

Successivamente è arrestato per l’uccisione di due uomini e il ferimento di altri tre.

Creduto ormai un folle, è rinchiuso in un carcere psichiatrico. 

Lo psichiatra Dott. Theo Calder (Cuba Gooding Jr.) si occupa del suo caso, in quanto gli permetterà di fare notevoli progressi per la sua carriera.

Lentamente Theo riesce a rompere il mutismo in cui si era rintanato Ethan e scopre che egli è tuttaltro che un folle. La forte e carismatica figura di Eathan afferra per mano Theo e lo conduce in un percorso di trasformazione inatteso.

Eathan punta il dito sul dominio, sul controllo che esercita e sulle illusioni che crea nelle mente delle persone. 

I ruoli s’invertono quasi da subito.

Ciò che il giovane psichiatra voleva sapere per stendere la perizia, si tramuta in un insegnamento concreto che sconvolgerà la sua visione della vita e che lo spingerà ad aiutare l’indominabile antropologo.

 

2) L’INDOMINABILITÀ

Capita spesso di udire affermazioni riguardo a come diventare più spirituali, a frequentare dei corsi di un noto guru, meditare secondo le sue regole, recitare i suoi mantra, e contrapporre a questa idilliaca vita spirituale la “vuota” vita lavorativa.

Si considera continuamente l’aspetto spirituale opposto a quello materiale, come fossero due acerrimi nemici, e non due facce della stessa medaglia.

L’unica strategia per sottrarsi al dominio è sviluppare l’indominabilità.

Ho preferito usare il termine indominabile al posto d’indomito perché a mio avviso rende meglio l’idea del soggiogamento da parte di un’autorità che non solo “doma” l’individuo nelle sue pulsioni più vere ma anche lo considera come suddito di sua proprietà per i soli suoi scopi.

In estrema sintesi qui di seguito elenco alcune considerazioni.

 

  1. Non esiste differenza tra spirito e materia. La materia ha con sé lo spirito che l’ha intenzionalizzata. Essa rappresenta la realizzazione spirituale nel mondo materiale. Quindi la contrapposizione tra spirito e materia è una sonora bufala. 

Esempio. Ogni guarigione è un’auto-guarigione spirituale che avviene con la comprensione, poi la conferma di questa consapevolezza si traduce in maniera concreta nella sparizione della malattia, cioè esami e consulti medici che testimoniano la diminuzione o sparizione della malattia in MODO OGGETTIVO. Chi pensa che vivere spiritualmente sia “non fare” è manipolato da un certo pensiero. Molti rincorrono l’Oriente ma queste tematiche esistono da sempre anche in Occidente e molte volte sono state formulate anche meglio.

 

  1. Essere spirituali che cosa significa? Innanzitutto Essere.

Due sono le visioni dell’Essere:

L’Essere è (Parmenide).

L’Essere è un continuo divenire, “panta rei” (Eraclito).

Aristotele ha coniugato i due principi con l’elaborazione dei concetti di Potenza e Atto. Potenzialmente ogni essere umano è grande ed eccezionale poi dipende da quanto si agisce, da quanto è disposto a volersi e a compiersi attraverso l’azione esistenziale.

San Tommaso ha definitivamente chiuso il cerchio con il concetto di Essentia ed Esistenza.

L’Essenza appartiene all’Essere che pone il principio fondante l’umano, mentre l’esistenza dell’essere umano viene necessariamente dopo con le sue decisioni e le sue azioni che dovrebbero corrispondere armoniosamente col principio dell’essenza (e non contro di esso come spesso accade).

COSTRUIRSI FUORI PER COME SI È DENTRO. 

Il concetto di AUTOCTISI.

Quindi Essere spirituali significa tutto questo: PRENDERE COSCIENZA DI CHI SIAMO, PER POI ATTUARLO NELLA VITA PRATICA.

In questo modo siamo il nostro spirito, facciamo azione esistenziale CONCRETA, dimostrando e certificando che abbiamo compreso la nostra profonda natura spirituale attraverso il realizzare e non il pensare, pregare, credere, sperare, aspettare, imitare.

 

  1. Ecco che il risultato del “fare” ha un significato altamente spirituale perché se la persona ha cercato se stessa, si vedrà nelle sue opere.

Questa si chiama CREAZIONE. 

Infondere il proprio spirito nella materia è il principio primo di chi crea.

 

  1. Adesso capisci che pregare, meditare, recitare, sperando di avvicinarsi al proprio spirito alla propria essenza, NON VUOL DIRE PER NIENTE ESSERE SPIRITUALI ma solamente obbedire a input manipolatori e devianti voluti da altri che non ti appartengono.

 

Queste sono strategie messe in atto apposta per impedire la spiritualità autentica dell’umano.

Un uomo vivo spiritualmente è indominabile.

Il termine indominabile mette in risalto la forza che un individuo può raggiungere. Infatti, il dominio non può avere conoscenza di ciò che non domina e di conseguenza non può manipolarlo. 

Chi non si lascia dominare ha piena coscienza della propria pienezza, della propria forza, perché attinge direttamente alla sua fonte (che è l’Essere) e sarà inespugnabile per chiunque tenti di ledere il suo Eden e in più beneficerà dell’inerzia dell’Universo.

Si tratta di uno che conosce e non crede o spera. Sa.

Possiede la sua vita perché esaltazione perenne del principio che l’ha posto. Ha l’Essere come alleato.

Un uomo considerato spirituale secondo i canoni comuni invece è già dominato, posseduto da un pensiero che non è il suo, che lo devia costantemente dalla sua unicità e irripetibilità.

Non è affascinante?

 

3) LA CRITICA

Il film è stato prodotto nel periodo dal 31 gennaio 1998 fino all’8 agosto 1998 in Giamaica, USA e Uganda. Sean Connery avrebbe dovuto, in origine, interpretare il ruolo di Ethan Powell. 

Da un punto di vista economico è stato un flop.

A fronte di un budget di spesa di circa ottanta milioni di dollari, i ricavi sono stati appena di trentaquattro milioni.

Il film ha ricevuto molte critiche, ponendolo ben sotto la media. 

Pino Farinotti, critico cinematografico, ha dichiarato che questo film è un “film di serie B” de “Il silenzio degli innocenti”. Con un cast di tutto rispetto e Anthony Hopkins in manicomio criminale nei panni di un “Cannibal” naturalista. Il pazzo è vittima di allucinazioni legate al suo passato di studioso dei gorilla in Africa. Li difende a oltranza. Fino a uccidere i cacciatori. Il richiamo al Silenzio degli innocenti è davvero casuale.

Lietta Tornabuoni, nota critica del Corriere, ha scritto: «Qualcuno dovrebbe stare accanto a Anthony Hopkins quando sceglie i personaggi e firma i relativi contratti: l’attore inglese ha una preferenza perversa per i ruoli che lo rendono ridicolo. Qui un primatologo famoso, eccellente studioso delle scimmie, viene ritrovato in Africa, rimpatriato negli Stati Uniti e chiuso in manicomio criminale dopo aver vissuto con i gorilla nella foresta del Ruanda e aver ucciso degli uomini».

Devo desumere che molto probabilmente hanno visto di sfuggita il film e non l’hanno potuto apprezzare a pieno.

 

4) IL DOMINIO

Abbiamo visto che cosa sia l’indominabilità.

Adesso osserviamo il dominio da vicino.

Quando Eathan Powel disegna sulle mura della sua cella la “vera storia dell’umanità senza finzioni né bugie”, fa risalire la civilizzazione a circa 10.000 anni fa.

In realtà spiega la nascita del dominio.

In quel periodo avvenne il passaggio dal Paleolitico al Neolitico.

Si contrapposero i “Prendi” cioè coloro che prendono, portano via, sottraggono, contro le società tribali ovvero raccoglitori, cacciatori e agricoltori, che non prendevano più del necessario.

Combattevano ma non incitavano alla guerra. Avevano un posto nel mondo e del mondo loro facevano parte e lo condividevano con gli altri.

Powell dice: «Dobbiamo rinunciare al dominio. Non siamo padroni del mondo, re o dei. Troppo prezioso tutto quel controllo? Troppo allettante essere un dio?»

Nasce il dominio dell’uomo sull’uomo.

L’antropologo Gordon Childe (1892-1957) ha portato delle importanti novità nelle scienze storiche, grazie alle sue ricerche sul Neolitico nei quali studiava la trasformazione delle società umane. 

Coniò il termine di rivoluzione neolitica.

La rivoluzione neolitica fu la prima delle rivoluzioni agricole che si sono succedute nella storia dell’umanità. Rappresentò il momento in cui un’economia di sussistenza nomade, basata su caccia e raccolta spontanea, passò all’allevamento animale e alla coltivazione, entrambe attività stanziali.

Francesco Saba Sardi nel suo testo “Dominio” ci ha regalato le considerazioni che riport63o di seguito.

«Il potere non avrebbe avuto stabilità, durata e trasmissibilità senza l’opportunità e necessità della guerra e senza la supposta approvazione e autorizzazione della divinità. In altre parole, una volta diramatesi le tre componenti iniziali del dominio, potere, religione e guerra, esse si sono condizionate, rafforzate, convalidate a vicenda».

Nasce il concetto di proprietà che comporta necessariamente la guerra per difenderla o per conquistarla.

La produzione esigeva una divisione dei compiti, la loro assegnazione e programmazione. Si andava formando il concetto di struttura e di gerarchia, cioè il potere.

Contemporaneamente si proclamarono contenuti considerati sacri, e vennero divisi da quelli “non sacri”. 

Comparvero delle figure intermediarie tra il trascendente e la massa, chiamate sacerdoti. Questa scissione dell’uomo dalla sua naturale sacralità ha fatto sorgere la religione, con i suoi dogmi, le sue imposizioni, i suoi mòniti, le sue intercessioni col divino.

L’accoppiata potere/religione da allora è stata sempre inscindibile. 

Questo poteva solamente generare la guerra.

La violenza, ineliminabile nell’uomo, fu consapevolizzata dal potere che la impose come suo privilegiato strumento. 

La religione, da un lato, giustificava prontamente e appoggiava l’uso della guerra, e dall’altro, convinceva e raccomandava ai fedeli l’obbedienza al potere.

Il potere, la religione e la guerra rappresentano un trittico inventato per assolvere uno scopo preciso: il dominio dell’uomo sull’uomo.

Questa religione aveva la necessità di compiere atti e gesti solenni, pieni di significati. Così sono nati i riti, atti che vengono eseguiti secondo norme codificate e che soddisfacevano l’aspetto propiziatorio, riparatore, votivo e salvifico.

Si parte da tutte quelle occasioni che segnano i grandi avvenimenti dell’esistenza (nascita, riti di passaggio, matrimonio, funerali) o le date fondamentali dell’anno (solstizi, equinozi, stagioni, raccolti, siccità, epidemie). 

L’offerta e il sacrificio sono nel rito le operazioni prevalenti ed è difficile non ricavare un’impressione di utilitarismo, addirittura di mercanteggiamento, “do ut des” (io do affinché tu dia)! 

Coloro che gestivano il sacro avevano certamente delle conoscenze superiori agli altri, ma non le utilizzavano per la collettività, bensì per sancire il proprio potere. Così scattava l’equazione sacro = segreto, per i soli iniziati (quelli che comandavano o appoggiavano il potere). 

Il potere, per espandersi col fine di perpetrare e trasmettere se stesso, ha assoluto bisogno del mistero e del misticismo, per fare presa sull’immaginario collettivo e attirare sotto i suoi ordini il maggior numero d’individui possibile.

Nascono i miti, i riti e i simboli.

Ernesto De Martino (1908-1965), famoso antropologo, è stato uno dei principali studiosi del rito e della magia in chiave antropologica.

Secondo De Martino il rito aiuta l’uomo a sopportare una sorta di “crisi della presenza” che esso avverte di fronte alla natura, sentendo minacciata la propria stessa vita. 

I comportamenti stereotipati dei riti offrono rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene in seguito definita come “tradizione”, potente mezzo messo a disposizione da chi gestisce il sacro (sacerdote, maestro, guru) al fine di rendere possibile un’illusoria risalita dell’uomo dal baratro dell’annientamento dell’essere nel mondo.

La paura di perdere l’esserci (essere nel mondo) è un fenomeno ben studiato dalla filosofia, dall’antropologia e dalla psicologia, e corrisponde a uno spaesamento dell’individuo, alla sua entrata in crisi per timore di perdere i suoi riferimenti esterni, che sono gli unici ai quali affida la creazione di senso della propria esistenza.

De Martino afferma che “La destorificazione dell’evento negativo subito (malattia, morte, eventi nefasti, problemi, ecc.) permette l’universalizzazione della propria condizione umana in una dimensione mitico-simbolica, mediata dalla religione e presente nel rito”.

Il mito è un racconto di fatti accaduti, il rito è un atto con uno scopo ben definito. Le parole solenni, le gestualità lente e cadenzate quasi ritmiche, la camminata con passi prestabiliti, sempre uguali, l’impiego di supporti simbolici, sia visivi (oggetti, disegni, quadri, statue, figurte, amuleti, sigilli, candele, bracieri, libri) sia cromatici (impiego di specifiche combinazioni di colori), la vestizione appropriata con indumenti dedicati, e infine effetti aromatici (profumi, essenze, effluvi, incensi), sono indispensabili per meglio concentrare e catalizzare l’intenzione e l’azione di tutti i partecipanti. 

Si viene a creare in tal modo un circuito (composto da mito, rito e simbolo) volto alla soluzione della crisi, della paura della disintegrazione, astraendo l’individuo dalla realtà storica. 

Il credo religioso costituito dal mito, dal rito e dal simbolo rende sopportabile il dolore della vita. Addirittura è in grado di fornire delle plausibili e credibili spiegazioni con le quali i partecipanti provano un senso di superiorità.

Questo purtroppo accade perché, sempre per motivi di dominio, si è continuamente insegnato e direzionato l’essere umano fuori da se stesso, imponendogli risposte e riferimenti esterni, stabiliti da altri (chi domina), per il vantaggio esclusivo del gestore e non certamente dell’uomo, che nulla immagina e sa. 

Non lo si è mai educato a cercare dentro di sé le sue risposte. 

Anche se c’è chi sostiene il contrario, alla fine si scopre che esiste sempre un intermediario che si assume il compito di trasmettere la conoscenza, tu non lo puoi fare da solo, mai, e senza di lui sei perso, anzi, se rinunci alla sua presenza, sei un infedele, un traditore, un profano.

E questo intermediario opera con una struttura, con delle regole, dei dogmi, dei riti e dei simboli, ai quali si è costretti non solo ad obbedire, ma addirittura a considerarli più importanti di se stessi. 

Cioè viene meno il principio base della vita: amare se stessi più di ogni altra cosa.

Il dominio dell’uomo si muove proprio in questo senso, con gli strumenti della tradizione: il mito, il rito e il simbolo.

Tramite questa triade impone la funzione di controllo attraverso la propinazione d’innumerevoli illusioni capaci di costruire nella mente della massa una falsa percezione di libertà.

Infatti, il gioco dell’asso di denari è assai significativo. 

Il controllo si esercita mettendo le persone una contro l’altra, stimolando le peggiori qualità umane, senza avviare alcuna attività pedagogica ma controllando le persone in maniera serrata e asfissiante, fin nelle esigenze più intime e innegabili.

Chi non vede questo “gioco” è preda di un’illusione gigante e automaticamente diventa come i carcerati del manicomio criminale che abbiamo visto.

Si trasforma in “PRENDI”.

Nessuna condivisione, solidarietà, aiuto o crescita. 

Solo prevaricazione e .sottrazione a fini egoistici di DOMINIO.

Con l’agitazione dei miti e dei simboli esercitano un controllo spietato.

David Icke ha individuato in questo lo schema:

PROBLEMA – REAZIONE – SOLUZIONE.

Io lo muterei in termini più facilmente comprensibili.

Per raggiungere il mio SCOPO (del dominio) devo provocare una certa REAZIONE nei dominati, alla quale io (dominio) devo rispondere esattamente per come il mio scopo, aveva previsto. 

Non sono più io come dominio che impongo quello che voglio ma il popolo che chiede ciò che era mia intenzione attuare.

Conseguentemente, se il potere vuole diffondere vaccinazioni obbligatorie, sottoscrivere tutta una serie di accordi commerciali internazionali, spingere verso la riunificazione del mondo in un corpo unico, tutti eventi che sarebbero notoriamente ostacolati, costruisce il giochetto psicologico e tutti ci cascano come allocchi.

Queste situazioni non s’improvvisano ma si preparano nei decenni, con meticolosa attenzione. 

Per esempio, prima si annienta il sistema sanitario nazionale con tagli alla spesa della sanità. D’altra parte lo chiede l’Europa!

Poi si drammatizza un evento che in realtà ricorre ogni anno.

Si trasforma mediaticamente un’influenza, forse anche perniciosa, in una pandemia e a livello mondiale.

Come mai per l’influenza del 2009 che causò 4/500.000 morti nel mondo (dati Istituto Superiore Sanità) non è accaduto niente di simile? 

Nessuna pandemia, nessuna all’erta mondiale.

Perché nessuno si pone questa semplice domanda?

Perché anche se lo dici nessuno presta ascolto, anzi ti contrasta?

Io non possiedo certezze se non che tutti viviamo a tempo determinato. 

La mia intelligenza però m’impone sempre di cercare di capire che cosa c’è dietro a una realtà che è solo apparente.

Proprio quello che la massa non fa.

Ecco che allora si staglia, su uno sfondo fatto di frasi fatte e dietrologia populista, la vera essenza del concetto di democrazia.

Certamente non sono antidemocratico, non potrei mai esserlo.

Per me la democrazia dovrebbe essere un governo per il popolo, capace di evolverlo, educarlo, migliorarlo e favorire i talenti di ognuno in un clima di coesione sociale. Chi si pone come riferimento dovrebbe incarnare gli interessi di tutti e non i suoi particolari, essere facilmente deposto nel caso in cui non raggiungesse gli obiettivi prefissati.

Soprattutto dovrebbe essere da esempio per tutti.

Il focus dovrebbe essere l’aspetto qualitativo degli effetti e dei risultati.

I governanti dovrebbero temere il popolo e non l’incontrario come solitamente accade.

Mi pare che siamo molto distanti da tutto questo.

Albert Einstein diceva: «Per me l’elemento prezioso nell’ingranaggio dell’umanità non è lo Stato, ma è l’individuo creatore e sensibile, è insomma la personalità – è questa sola che crea il nobile e sublime – mentre la massa è stolida nel pensiero e limitata nei suoi sentimenti».

Attualmente il popolo c’entra assai poco con i governi democratici.

Attenzione! 

Non sto incolpando nessuno, né tanto meno i “potenti” quali essi siano.

Io punto il dito verso la massa, il popolo, le persone comuni, le cosiddette “brave persone”, sempre lige al dovere, passivi esecutori ai quali è sufficiente una banale motivazione qualunque pur di non perdere miseri benefici e illusorie certezze.

Ligio deriva dal latino litus = vassallo. 

Nel diritto feudale il vassallo era la figura che aveva giurato fedeltà assoluta al suo signore. Soggetto strettamente sottomesso, servile e devoto.

Con la loro ignavia, pigrizia, corruttibilità e ignoranza, permettono tutto questo, fino a mercificare la propria dignità esistenziale.

La manipolazione esiste solamente perché alla base pre-esiste una manipolabilità generale causata da una carenza d’Essere.

Altrimenti non potrebbe mai accadere.

Charles Bukowski scrisse: «La differenza tra dittatura e democrazia è che in democrazia prima si vota e poi si prendono ordini, in dittatura non dobbiamo sprecare il nostro tempo andando a votare».

la democrazia moderna è fondata su un livellamento omologante e totalizzante. Prevale la quantità sulla qualità, la forma rispetto alla sostanza e il numero sull’individuo.

Questa massa è confusa e indebolita interiormente poiché abbiamo visto che è stata scissa dalla propria parte trascendente. Hanno perso il sacro che è in tutti gli esseri umani, la principale fonte di energia che possediamo.

Il perfetto contrario di un popolo consapevole dei propri scopi e dei propri mezzi.

Le persone non hanno scopo nella vita se non quelli imposti da stereotipi.

Crescono, si sposano, lavorano, fanno sesso e figli, comprano beni, vanno in ferie, amano il tempo libero, e alla fine pensione e morte.

Ma loro, sì proprio loro come persone uniche e irripetibili, dove sono?

Hanno solo rispettato schemi imposti dal dominio credendoli propri ma loro non sono mai stati se stessi, non hanno mai vissuto!

 

5) LA POSSIBILE SOLUZIONE DEL MERCATO PARALLELO

Ormai sempre più persone cominciano a rendersi conto che il libero mercato non esiste. Viviamo in un sistema economico creato per l’arricchimento di pochi e lo sfruttamento e la depauperazione di molti.

Prodotti ricchi di plastica e di design , ma poveri o privi di sostanza. 

Prodotti tecnologici a obsolescenza programmata, di basso costo di produzione, ma alto prezzo di acquisto, altamente inquinanti. 

Detergenti profumatissimi ma tossici per la pelle e l’ambiente. 

I terreni e i mari sono pieni di veleni di ogni genere, di micro e nano plastiche derivanti dalla degradazione di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti gettati in mare. 

Allevamenti di uomini–pecora destinati allo sfruttamento commerciale mascherato da libero mercato.

Non serve lottare contro il sistema, qualunque esso sia.

Ciò che è indispensabile è creare un “mercato parallelo” costituito da persone che prima cercano di andare alla radice di se stesse e poi decidono di risolvere i problemi del quotidiano, insieme con altri simili. 

Questo formerebbe un “mercato alternativo” a quello esistente, fuori dal controllo del dominio.

Dieci, cinquanta, cento persone sono poca cosa.

Pensa invece diecimila, centomila, un milione d’individui quanto potrebbero fare insieme!

Si tratta di un mercato molto vasto e, se le risorse sono destinate al reciproco scambio di prestazioni, servizi e prodotti, è possibile liberarsi dal giogo e dalla costrizione.

Chi produce un determinato bene o servizio lo mette a disposizione di questo “mercato” a un prezzo minore in quanto ha la certezza dei clienti, dei loro periodici acquisti e della loro fedeltà nel tempo. 

Sono eliminati i costi della burocrazia parassitaria e corrotta e le risorse sono impiegate a reale beneficio delle persone.

Si parte sempre dai bisogni. 

Le persone stabiliscono quali sono i loro bisogni: alimentazione, istruzione, sanità, servizi, elettrodomestici, autovetture, servizi artigianali, tecnologia, manufatti in genere e così via.

Con una ricognizione all’interno del gruppo si accerta cosa può essere soddisfatto e cosa no.

Per tutto quello che è possibile reperire all’interno del gruppo non esistono problemi. Per il resto si cerca di trovare una soluzione. 

Ma l’eventuale soluzione non la cerca il singolo soggetto, bensì un gruppo di diecimila, centomila, un milione di persone. 

È il cliente più grande che un fornitore può sognare!

Non si tratta di acquistare al minor prezzo la merce come i GAS (gruppi d’acquisto solidali), ma di creare un sistema economico veramente nuovo, fuori dal giogo del dominio. 

Come puoi vedere non è un’azione contro qualcuno o qualcosa, affatto. 

Non si distrugge niente, si costruisce solamente.

Senza problemi? Certamente no! 

Ce ne saranno e anche molti, ma stabilita la posizione di partenza, cioè l’obbligatorio mutamento di pensiero degli individui partecipanti, le difficoltà diventeranno tutte saggiamente affrontabili.

È molto difficile individuare tutte le problematiche a priori. 

L’unica strada conoscitiva rimane quella del “fare”, iniziare, provare e correggere la rotta strada facendo.

Centomila persone che formano il “mercato parallelo” possono vivere geograficamente sparpagliate e continuare a fare la loro vita.

Vivono il gruppo solo per la soddisfazione dei loro bisogni e in parte per una certa affinità.

Per esempio, centomila persone sono in grado di finanziarsi un centro medico come si deve, nel quale non si aspettano sei mesi per fare una tac ma solo due o tre giorni al massimo, e a prezzi contenuti.

Se io produco frutta, mi preoccupo di far avere al “mercato parallelo” il migliore rapporto qualità/prezzo.

Perché?

Perché non mi devo preoccupare della caldaia del riscaldamento che si è bloccata a casa, perché un altro del gruppo se ne sta occupando.

Questi sono solo accenni a un qualcosa che deve essere discusso e “provato” empiricamente per indirizzare la sua potenziale enorme crescita nel migliore dei modi.

Però è e resta un tentativo, un germe di soluzione, è sempre un’azione che certamente potrebbe avere degli sviluppi interessanti con delle conseguenze difficilmente valutabili in fase progettuale.

Lamentarsi, accusare e basta è molto peggiore!

Anche la sterile critica senza sperimentazione è altrettanto priva di senso.

Il concetto di base è che il sistema ci tiene tutti invischiati perennemente sotto ricatto. Cambiarlo dall’interno o combatterlo è impossibile e inutile. 

Non ha alcun senso isolarsi in piccoli gruppi che potranno garantire solo miseria e facili bersagli.

Creiamone un altro a latere con la convinzione del perché lo facciamo. 

Non è difficile.

Questa è solo un’ipotesi. So bene che i “campioni della critica” non mancheranno. Quello che m’interessa è che altri, molti altri, trovino interessante sperimentare questa possibilità. 

È un’operazione semplice che non comporta rischi, ma solo vantaggi. 

Basta cominciare poco a poco con alcuni beni, altri seguiranno via via come un organismo che cresce gradualmente fino a strutturarsi in un’organizzazione pienamente funzionante.

Un embrione di questo sistema esiste già e lo stiamo sperimentando con successo, via via che i benefici diventano evidenti i partecipanti prendono fiducia e si entusiasmano e il sistema cresce in beni ed aderenti.

 

6) CONCLUSIONE

Il problema è solo individuale e ognuno deve fare un grande sforzo per potersi elevare al livello minimo necessario per avviare una comprensione del perché esiste in questo pianeta con questo corpo.

È un fatto di conoscenza.

La conoscenza tende a mutarsi in consapevolezza quando un’intelligenza utilizza sincronicamente se stessa, le proprie intuizioni, le proprie informazioni, la propria esperienza, in modo assolutamente coerente con il principio (il Punto Zero) che ha causato quella specifica individualità, con riferimento allo scopo ontico di ogni individuo: amare, conoscere e costruire se stesso. 

Se ognuno non abbraccia l’Essere, cioè non inizia il proprio percorso personalissimo di crescita interiore, proprio come ha fatto lo psichiatra Theo, saremo sempre tutti vittime di un dominio che, ripeto, non considero ingiusto e cattivo ma semplicemente inevitabile e necessario per dare ulteriori scosse a tante coscienze che vagano senza méta, confuse, passive, assopite e annoiate di se stesse.

L’unico pericolo è che l’intensità delle scosse aumenterà sempre di più.

 

Maurizio Fani

 

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