Non siamo abituati a farlo. Non ce l’ha detto mai nessuno.
Sembra una cosa senza senso.
Osservare se stessi?
Perché?
Eppure se ci provi ti rendi conto immediatamente che lo puoi fare.
Se ti poni in testa di guardarti ecco che ti vedi, ma ti percepisci in modo molto diverso dal solito.
Sei molto più concentrato e soprattutto più consapevole di quello che stai pensando, dicendo o facendo.
La consapevolezza di guardarti crea la conoscenza di te stesso.
È molto diversa la comune osservazione distratta e meccanica che attivi senza pensarci, dall’auto-osservazione intima e profonda che avviene quando decidi di attivarti in tale modalità.
Ma allora chi osserva chi?
Se io posso osservarmi dall’esterno, quello lì, che sarei io e che sto osservando, chi è?
Quello è il risultato di tutti i condizionamenti. È l’io-logico-storico, quello che apparentemente agisce, mentre quello che osserva fa parte della coscienza, della consapevolezza.
Ti renderai conto che quando ti osservi durante un’arrabbiatura o un momento molto triste, riuscirai a vedere subito le cause e i motivi, spesso futili, che ti hanno fatto reagire in quel modo. Avvertirai immediatamente quanto i tuoi comportamenti e i tuoi pensieri sono costantemente anticipati da qualcos’altro che s’impone.
Osservarsi vuol dire anche amare ciò che si è.
L’amore per se stessi è il cibo più prelibato per la nostra vita psichica.
Per avere uno spirito forte e vitale occorre amarlo perdutamente.
Infatti, ogni sistema di credenza, ti porta sempre ad amare un esterno, un qualcosa di diverso da te. Così ti rende debole, incapace di fare la tua evoluzione, che, come ogni salto evolutivo, è un atto di ribellione e di disobbedienza nei confronti del mondo dato.
Ma non è distruttivo, assolutamente no.
Si tratta di comunicare a se stessi che ciò che esiste non è coerente con la nostra unicità e che dobbiamo ricercare ciò che invece lo è.
Amare un esterno ti rende anche incapace di amare tutto il resto.
Il gesto che compiono queste strutture è di operare una scissione al tuo interno. Se ami te stesso, sei egoista e quindi questo è male. Addirittura hanno rigirato il problema creando un vizio inesistente al posto di una virtù che pervade tutta la natura.
Un essere umano che ama se stesso, vorrà che anche gli altri lo facciano, lo pretenderà perché sa benissimo che è l’unica condizione di vita sana per l’uomo.
Uno che si rispetta a sua volta rispetta tutto e tutti.
Diventa contagioso.
Osservare se stessi equivale ad amarsi. È un modo di stare con sé molto particolare, molto più della meditazione ormai venduta come panacea.
Invece le persone mediamente odiano la propria vita, si sentono inadeguate, sporche, peccatrici, sbagliate, e lo fanno proprio perché non hanno, si sono mai amate.
Il “conosci te stesso” può giungere solo dopo che hai deciso di amarti, altrimenti rimane un’illusione.
Buddha ha detto: «Amati e osserva: oggi, domani e sempre».
Se non ti ami prima di osservarti, può venirti il desiderio di morire, di ucciderti, perché odi ciò che stai guardando.
Come fare a osservarsi?
Creando un testimone.
Con la creazione di un testimone ci poniamo fuori dai condizionamenti e osserviamo la rabbia, il dolore, il pianto, la gioia, la tristezza, ma non vivremo queste emozioni come personali.
Perché accade questo?
Il testimone-osservatore è molto più vicino al nostro Punto Zero.
Col tempo acquisirà forza e ci trascinerà verso la nostra parte spirituale a scapito dell’io-logico-storico che invece vive sotto pesanti condizionamenti.
Inoltre il testimone vedrà le nostre sciocche reazioni e i nostri sbagli molto più di prima, di quando invece ci identificavamo esclusivamente con il nostro corpo, il nostro nome, la nostra professione, i ruoli (madre, padre, marito, moglie, sorella, fratello, amico, ecc.) che la società ci ha imposto.
Tu non sei il tuo nome, te l’hanno dato.
Non sei il tuo lavoro, lo fai ma non lo sei.
Non sei un ruolo ma una persona, perché il ruolo ha aspettative sociali ben precise, mentre la persona è libera di scegliere.
Cominciamo a osservare il nostro braccio, la nostra mano. Osserviamoci mentre svolgiamo tutte quelle azioni quotidiane che facciamo senza pensarci, in automatico.
Vedrai che differenza!
Vedrai quanta grazia e gentilezza sprigioneranno i tuoi gesti ora consapevoli ed equilibrati. Non controllati, attenzione, ma coscienti della loro importanza, della loro sacralità.
Successivamente comincia a osservare i pensieri che passano per la testa. Fa effetto vedere i propri pensieri da spettatore, toglie quel coinvolgimento che sembra ineludibile, ti stacca emozionalmente e ti permette l’analisi di quello che sta passando per la tua testa.
Tutto questo va fatto senza giudizio alcuno. Non devi “criticare” ma osservare, poi deciderai come dare peso alle tue conclusioni ma mentre il testimone lavora, mantieniti sempre neutrale.
Questo perché se giudichi perdi la neutralità perché torni ad identificarti con l’io-logico-storico. Il testimone è esclusivamente una presenza mai coinvolta.
Ti accorgerai presto che molte emozioni della tua vita non ti appartengono ma sono una creazione dei condizionamenti che pilotano la tua esistenza.
Non è la ribellione che ci salva dalla schiavitù dei meccanismi e del dominio ma la coscienza di noi stessi e la sua realizzazione.