- LA TRAMA
- LA CRITICA
- ANDIAMO OLTRE
- CHE COSA’ÉUNA LEGGE
- IL DOMINIO
- IL SISTEMA È GENIALE
- I SOGNI NEL FILM
SEI SICURO CHE L’UNICO MODO POSSIBILE PER COSTRUIRE UNA SOCIETÀ PIÚ GIUSTA SIA LA STRETTA OSSERVANZA DELLE REGOLE CONDIVISE CON L’IMPOSIZIONE?
FILM “L’ORA LEGALE” Di Ficarra e Picone.
Commedia divertente e allo stesso tempo disarmante.
- LA TRAMA
La trama è molto semplice. In un pesino della Sicilia, Grottammare (Termini Imerese in provincia di Palermo), siamo vicini alle elezioni per il nuovo sindaco e si confrontano due soggetti dai profondi significati diversi.
Gaetano Patanè, esponente dell’usuale modo di governare, tra corruzione e clientelismi e Pierpaolo Natoli, persona integerrima, senza scheletri nell’armadio, convinto assertore del completo rispetto delle regole.
Il sindaco uscente, Patanè, è arrestato per corruzione, falso in bilancio, concorsi truccati e altre cosette simili. Pierpaolo Natoli diventa sindaco.
Persona ligia al mandato dei cittadini, intende mantenere tutte le promesse fatte in campagna elettorale. Stravolge il paese, azzerando tutti i privilegi e le pessime abitudini che i suoi compaesani ritenevano essere leciti e dovuti.
Senza licenza ogni attività è chiusa, la raccolta differenziata diventa obbligatoria, i forestali invece di imboscarsi (è proprio il caso di dirlo) sono messi a lavorare, i vigili urbani sono tornati in mezzo alla gente con fischietti, carri attrezzi e multe.
I cartellini degli impiegati del comune sono controllati. Tasse triplicate a tutti perché la maggioranza aveva dichiarato il falso. Il nuovo sindaco Natoli fa chiudere anche l’unica fabbrica, il petrolchimico (possibile riferimento all’Ilva o a quello di Gela), perché non in regola con le normative sull’inquinamento. Molte persone perdono il lavoro.
Il parroco deve pagare le tasse (IMU) sul suo bed&breakfast e si rifiuta di obbedire (fatto conosciuto). Le case abusive costruite in riva al mare sono abbattute (fatto sconosciuto).
Il paese è veramente cambiato. Non c’è più la spazzatura per le strade, fiori e piante ovunque, traffico ben regolato, aree pedonali, ma le persone non riescono a mollare le vecchie abitudini e gli schemi mentali che hanno coltivato da secoli.
Tutti volevano il cambiamento ma senza cambiare loro stessi.
Quasi l’intero paese, sotto la guida del parroco, chiama rinforzi da Roma.
Uno si aspetterebbe di incontrare qualche esponente vaticano o politico.
Invece arrivano dei mafiosi che dichiarano: «Con la crisi che c’è l’italia, l’onestà non se la può permettere. E poi voi del sud che nella crisi ci siete sempre stati, come cavolo v’è venuto in mente de vota’ uno onesto».
Tutti insieme decidono di costruire un falso scheletro nell’armadio dello specchiato sindaco. Una costruzione abusiva sul mare eretta in una sola notte con la partecipazione di quasi tutta la collettività.
Colto con le mani nel sacco, secondo la giustizia, il sindaco in carica dovrà dimettersi.
Prima Pierpaolo Natoli vuole parlare alla piazza, ai suoi concittadini.
La figlia attacca i presenti dicendo che se il padre si dimettesse farebbe il suo primo errore da sindaco.
Il discorso finale del dimissionario Pierpaolo Natoli (per lo scandalo della veranda fasulla):
«Mi avete eletto perché volevate il cambiamento, ed io ci ho provato. Questo ha comportato dei sacrifici, lo so, alcune volte grossi. Tutti abbiamo rinunciato a qualcosa. Io per esempio ho rinunciato al vostro affetto. L’onestà non è solo una bella parola, l’onestà non dobbiamo pretenderla solo dal nostro vicino, l’onestà dobbiamo pretenderla soprattutto da noi stessi. Guardata Pietrammare com’è diventata bella, non l’ho fatta io bella, l’ho semplicemente ripulita da tutte le schifezze che ci avevamo messo. E non si tratta di applicare la legalità, si tratta di essere ragionevoli. Ma io da solo non ce la posso fare. Concittadini di Pietrammare, voi che pretendete il cambiamento, siete disposti a cambiare?»
La risposta all’unisono della folla inferocita è: «Te ne devi andare a casa!»
Seguono urla rabbiose e fischi a non finire. Una vera ribellione di massa.
Anche il finto invalido sulla carrozzella si alza in piedi per inveire, dimostrando così di essere un falso invalido, e poi ritorna, come niente fosse, a sedersi.
«DIMISSIONI DIMISSIONI DIMISSIONI» urlano tutti in coro.
Patanè, il sindaco uscente, rientra acclamato a furor di popolo, prete in testa.
Il suo primo discorso è: «E adesso andiamo a riprenderci quello che è nostro!»
La banda suona in mezzo al tripudio della folla.
L’ora legale è sostituita da quella solare. Le lancette sono riportate indietro, come a significare che il tentativo di riportare la legalità è fallito.
Il mafioso alla fine dirà: «Noi non siamo cattivi, siamo necessari».
- LA CRITICA
Secondo la critica, che ha accolto bene la fatica di Ficarra e Picone, nel film si crea un conflitto tra chi ritiene che l’onestà significhi attenersi strettamente alla legge rieducando i cittadini a suon di vessazioni e “paga e stai muto”, e chi invece subisce il peso e i vincoli della legalità e vuole, pur di difendere lo status quo, mantenere al governo chi ruba, ma almeno fanno vivere. Se l’obiettivo era educare alla legalità, non ci sono riusciti.
In un’intervista, i due comici hanno dichiarato:
«Siamo partiti dalla volontà di fare una fotografia di quello che vediamo – dice Salvo Ficarra – e di mettere in difficoltà i nostri personaggi perché, come accade sempre in commedia, i comici danno il meglio di sé quando sono in difficoltà. La grande difficoltà di questo film è il rispetto della legalità e delle regole. Io e Valentino interpretiamo due del popolo, due di una coralità di un centinaio di personaggi che sono mostrati nel film perché il film racconta proprio la difficoltà dell’onestà.
Il fatto è che noi abbiamo lavorato due anni a questo film per cui nel momento in cui sono accaduti dei fatti che ricordavano le vicende del nostro film sembravano viaggiare in parallelo con la sceneggiatura. Perciò anzi ci siamo trovati a fare cambiamenti, mettere dei paletti perché a noi interessava il disegno finale non singoli eventi.
La struttura della storia che avevano in mente era molto semplice, “tutti invochiamo la legalità – dice Picone – ma poi quando arriva questa legalità ci sta stretta perché dentro di ognuno di noi c’è una parte d’illegalità cui ci siamo abituati e che abbiamo pure dimenticato di avere. Lo schema era talmente semplice che qualunque cosa accadesse nella realtà non andava a toccare il progetto».
Il film è piacevole, scorre bene e Ficarra, Picone, Gullotta e Sperandeo fanno la loro degnissima parte.
Il messaggio del film, sempre secondo gli opinion leader, è che si ride dei nostri vizi e degli ostacoli che noi stessi seminiamo nel tortuoso percorso dello sviluppo, tanto richiesto a parole ma disatteso nei fatti. Sono risate amare.
Tutti sono pronti a gridare e ad affidarsi all’onestà di qualcun altro.
Tutti si lamentano ma intimamente accettano e vogliono quel sistema malato, e guai a chi lo tocca.
La legalità intesa come Il rispetto delle regole fa la voce grossa.
- ANDIAMO OLTRE
La giustizia è la conformità alle prescrizioni della legge.
Siamo sicuri che la critica abbia visto giusto?
Che cosa significa rispettare le regole?
Esploriamo il significato di questo concetto.
Il principio di legalità si è affermato dopo la Rivoluzione francese del 1789. La fiducia illuministica nella ragione dell’uomo si è concretizzata poi nel pensiero che la legge, in quanto traduzione materiale di principi naturali, va seguita scrupolosamente.
Il principio di legalità è molto radicato nel nostro ordinamento.
Detto principio afferma che tutti gli organi dello Stato sono tenuti ad agire secondo la legge, ammette che il potere sia esercitato in modo discrezionale, ma non in modo arbitrario.
«La legge agli amici si interpreta, ai nemici si applica» (Tratto da Giulio Andreotti, Spunti di riflessione da La repubblica probabile, a cura di Mario D’Antonio, Garzanti, 1972).
Queste regole da rispettare a tutti i costi, secondo il presidente Andreotti rappresentano il principale strumento con il quale si detiene e si dosa il potere, e si applica così il dominio che è il potere vessatorio istituzionalizzato.
Con le regole i cittadini di Pietrammare riescono a far dimettere l’incorruttibile Pierpaolo Natoli, persona ligia al dovere, in maniera totalmente truffaldina, per consegnare nelle mani del corrotto ex sindaco Patanè, già arrestato e di nuovo a piede libero, l’intero comune.
Tutto questo con il plauso e l’appoggio del POTERE RELIGIOSO (il parroco), il POTERE MILITARE (polizia municipale, polizia di stato e carabinieri) e la MAFIA (anch’essa forma di potere).
Queste regole da rispettare a tutti i costi, secondo il sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti rappresentano l’arma con la quale si detiene il potere e si applica il dominio.
Schematizziamo i due concetti:
1) Applicazione delle regole = legalità.
2) Applicazione delle regole = strumento per eliminare i nemici o i dissenzienti.
E chi afferma la seconda ipotesi, non è un personaggio qualunque ma qualcuno che conosceva molto bene il potere e l’uso della legge.
Si fa molto presto a riempirsi la bocca con le frasi fatte.
A un osservatore attento non può sfuggire una simile contraddizione, ed è proprio su questa grave incoerenza che dobbiamo indagare.
Con la piena osservanza delle leggi, le famose regole, i cittadini di Pietrammare riescono a far dimettere l’incorruttibile e super onesto Pierpaolo Natoli, in maniera totalmente scorretta e artefatta.
Compiono un’azione contraria dall’inizio alla fine alla legge, coinvolgendo tutte le istituzioni che invece avrebbero dovuto garantirla.
E poi per cosa?
Per consegnare nelle mani del corrotto ex sindaco Patanè, già arrestato e di nuovo a piede libero, l’intero comune, cioè tutta la “cosa pubblica”, in cambio della libertà di agire illegalmente, ognuno per come può.
Sostanzialmente per non cambiare.
Pensiamo un attimo a quante volte abbiamo avuto in Italia delle condanne ridicole. Una per tutte quella di Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio.
Prove non considerate, accertamenti impediti e un colpevole che tutti sanno essere innocente. Nonostante tutto questo, la legge lo considera il responsabile.
E come lui moltissimi altri casi.
La legge è sempre giusta? Oppure essendo un espediente al servizio del dominio, quando serve, si usa in un modo o in un altro?
Mi viene sempre in mente le considerazioni che fece la giornalista Oriana Fallaci (1929-2006) in un’intervista nella quale raccontava il suo incontro con l’onorevole Giulio Andreotti: «Lui parlava con la sua voce lenta, educata, da confessore che t’impartisce la penitenza di cinque Pater, cinque Salve Regina, dieci Requiem Aeternam, ed io avvertivo un disagio cui non riuscivo a dar nome. Poi, d’un tratto, compresi che non era disagio. Era paura. Quest’uomo mi faceva paura. Ma perché? A chi fa paura un malatino, a chi fa paura una tartaruga? A chi fanno male? Solo più tardi, molto tardi, realizzai che la paura mi veniva proprio da queste cose: dalla forza che si nascondeva dietro queste cose. Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza».
La scrittrice non mi è stata mai particolarmente simpatica ma questa definizione la trovo davvero azzeccata.
La paura è una gran brutta bestia!
- CHE COS’È UNA LEGGE?
Una legge è una disposizione obbligatoria emanata dallo Stato e da altre autorità a esso collegata.
Essa pone delle regole al comportamento di tutta la popolazione.
L’opinione pubblica è convinta che le regole imposte dall’alto siano necessarie per il funzionamento della convivenza sociale, onde evitare ingiustizie e garantire l’ordine pubblico e privato. Chi non si attiene alle leggi, infrangendole, deve risponderne anche con sanzioni e punizioni.
Codice penale alla mano gli abitanti di Pietrammare quante leggi hanno infranto per creare il falso abuso edilizio con la complicità di tutte le istituzioni?
Rispetto della legge equivale a civile convivenza, capace di offrire a tutti speranza e crescita ordinata. Altrimenti a prevalere saranno sempre i rapporti di forza e i privilegi, cioè gli interessi particolari di questo o di quello (singolo, famiglia, gruppo, lobby, cordata, clan, organizzazione criminale).
- IL DOMINIO
La legalità non è un problema di scontro fra “guardie e ladri” cui assistere con indifferenza. «La giustizia è una cosa molto importante perché permette anche alle persone più deboli, di non essere maltrattate ma rispettate».
Queste parole sono tratte dal libro “Il gusto della legalità” (Melico, 2014). Nel film tutto questo bel discorso non trova rispondenza.
I fatti illegali sono commessi prima, durante e dopo. La tanto osannata legalità, intesa come osservanza delle regole imposte, non viene mai fuori, non emerge dal contesto, anzi è deliberatamente combattuta e ostacolata.
I PRINCIPI DELLA CONVIVENZA SOCIALE POSSONO ESSERE SOLO QUELLI COMUNEMENTE INTESI?
Le più antiche tracce di vita conosciute risalgono a 3.8 ~ 4 miliardi di anni fa e sono gli antenati degli attuali batteri, organismi unicellulari molto semplici e primitivi in grado, però, di svolgere le attività fondamentali attribuite agli esseri viventi, cioè nutrirsi e riprodursi.
I principi che regolano la vita delle società animali dai batteri in poi, sono fondati sulla spontaneità del comportamento sociale che si riflette nelle regole condivise.
La “cooperazione” che è la prima forma di altruismo, e la “mutualità” nei rapporti, cioè la reciproca convenienza ad adottare regole e comportamenti che si dimostrino vantaggiosi per tutti.
Il concetto di utilità è riconosciuto da tutti i membri. Si fa una cosa in quel modo perché l’intera collettività ne riconosce l’utilità generale.
Il dominio di pochi sui molti invece ostacolerà sempre questo processo naturale.
La base di fare le cose insieme è che si deve costruire il rapporto su basi comuni e su una responsabilità esistenziale condivisa nei fatti e non solo a parole. La cultura del dominio prima si fa dogma sociale, norma morale pedagogica, ordine militare imposto dall’alto per l’immutabilità del dominio stesso e per impedire il riappropriarsi di una cultura naturale dell’essere umano.
Se non ci sono servi non ci sono neanche padroni.
Occorre richiamare due definizioni importanti:
- a) LO SCHIAVO
Demanda continuamente la costruzione della propria esistenza ad altri riferimenti, a lui esterni ed estranei.
Costantemente viene fatto oggetto di un bombardamento psichico e simbolico per convincerlo dell’assoluta necessità di delegare tutte le sue libertà e di non interessarsene mai personalmente. Fino a giungere al paradosso: privato di ogni possibilità di libera scelta, lo schiavo oramai succube, si appella al sistema per la soluzione dei suoi problemi che si è generato da solo eludendo ogni responsabilità esistenziale. Più il sistema predispone al crimine con la coercizione delle sue leggi più il cittadino invoca le leggi del sistema per porre un freno alla criminalità.
- b) VIVERE IN CATTIVITÀ
Il comportamento dell’essere umano oggi è da animale in cattività.
Che cosa vuol dire cattività? Corrisponde a uno stato di prigionia, di schiavitù.
Stato dell’animale catturato e costretto a vivere in gabbie o in recinti.
Deriva dal latino captìvitas = prigionia. La cattività è la prigionia, sono condizioni di schiavitù. Fra le cattività per eccellenza possiamo ricordare quella avignonese dei papi, o la cattività degli Ebrei a Babilonia, delle malattie contratte durante la cattività.
Oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, con questa parola ci si riferisce alla prigionia degli animali selvatici. In altri termini, indica lo stato in cui è ridotto l’animale selvatico catturato dall’uomo e costretto a vivere in un recinto o in una gabbia. I fini della cattività possono essere i più disparati, e non tutti nobili: cura, ricerca, conservazione della biodiversità, educazione, intrattenimento. È comunque curioso ed eloquente che, senza malizia, per indicare qualcosa del genere, sia stata scelta una parola dall’evidente connotazione dispregiativa.
Il termine cattività è intimamente collegato a quello di cattivo avendo la medesima radice etimologica. Captivus definiva il prigioniero di guerra ridotto a schiavo. Il cattivo non è cattivo perché è cattivo. Forse il cattivo è cattivo perché è prigioniero (di qualcosa o qualcuno), e ogni prigioniero sta male.
Impedisci a una persona di essere ciò che è e ti troverai di fronte a un generatore di energia negativa che dovrai gestire o subire. Consenti a una persona di essere se stesso e lui non avrà alcun motivo di crearti problemi.
La bestia non sceglie di essere messa in un recinto e vivere in cattività.
Lo schiavo sì, sarà felice di farsi mettere il guinzaglio al collo e quando non vuole più un governo, va a cercarsene un altro al quale sottomettere la sua persona.
La felicità che dona la schiavitù è data dall’ignoranza, dalla pigrizia, dalla paura, dalla mancanza di consapevolezza e da un sistema psichico ormai disastrato, schizofrenico: sono in un modo ma vivo in un altro.
Da qui malattia, disperazione, dolore, sofferenza, cattiveria, perversione.
Tutte emozioni con le quali il dominio va a nozze.
Con il mantenimento di questo giogo psichico perpetua se stesso all’infinito.
Lo schiavo è veramente convinto di vivere in una situazione paradisiaca, di naturale libertà, come se le imposizioni sistemiche fossero un suo diritto.
Quanti schiavi s’indignano, protestano, fanno cortei, assemblee per contestare un determinato padrone ma allo stesso tempo restano tutti ben inquadrati nei recinti. Sono solo alibi per la propria coscienza, scusanti per non aver fatto l’unica cosa che avrebbero dovuto fare: vivere la propria vita.
L’unica emancipazione che concepisce e quella di illudersi che cambiando esponente del potere mutino le cose.
Sarà sempre schiavo.
E questo è il comportamento mafioso per eccellenza: la forza d’intimidazione del vincolo associativo e la condizione di assoggettamento e omertà.
A norma dell’art. 416 bis c.p. comma terzo, “L’associazione è di tipo mafioso quando chi ne fa parte, si avvalgono della forza d’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire o ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.”
La forza d’intimidazione può essere definita come la capacità che ha uno Stato o un suo apparato, un’organizzazione o un singolo individuo di incutere timore in base all’opinione diffusa della sua forza e della sua predisposizione a usarla. In altre parole può essere definita come la quantità di paura che una persona (fisica o giuridica) è in grado di suscitare nei terzi in considerazione della sua predisposizione a esercitare sanzioni o rappresaglie.
Tale capacità intimidatoria possiede una “fama” tale da porre i terzi in una condizione di assoggettamento e di omertà nei confronti di chi, agendo per conto dell’associazione, è temuto e “accontentato” indipendentemente dagli atti d’intimidazione da lui eventualmente posti in essere.
Queste parole le puoi trovare su www.diritto.it di Francesco Brugaletta e non su un qualunque documento reazionario.
- IL SISTEMA È GENIALE
Se stai dentro il recinto, non potrà cambiare mai niente.
Il sistema è geniale!
L’essere umano perde lo status di “individuo libero” e acquisisce i ruoli che il sistema ha previsto. Ogni sua libertà deve essere mendicata e strappata a suon di obbedienza e asservimento.
Il potere del sistema si fonda sul controllo delle relazioni tra i membri. Il gruppo più piccolo è la coppia per giungere infine alla civiltà.
Lo schiavo è influenzabile e ricattabile. Lo schiavo ha paura, ha il terrore delle morali, delle religioni, delle tradizioni e della sua possibile libertà.
Privo di schemi in cui riconoscersi non potrebbe vivere.
E viene educato fin dalla tenera età a imitare, a essere servo e mai libero.
Lo schiavo è un seguace, un affiliato, un fedele, un credente, un fanatico. Non vuole conoscere e capire ma solo credere in qualcosa o qualcuno.
Odia invece chi vive privo di schemi preconfezionati ed è il più grande e fidato alleato di ogni dominio.
Ogni tipo di potere ha costantemente bisogno del suo appoggio incondizionato, altrimenti non potrebbe esistere.
Lo schiavo si convince che vive nel progresso, nella democrazia, nella giustizia e nella libertà. Si esporta la democrazia, si diffondono le libertà.
Ma sono davvero delle libertà? Te lo sei mai chiesto?
Oppure le libertà sono ben altra cosa, molto più seria?
Per permettere a qualcuno di dominarti devi prima aver rinunciato alla tua esistenza. Altrimenti potranno anche ucciderti, picchiarti ma il tuo consenso non riusciranno mai a strappartelo e loro saranno sconfitti.
Ecco che a questo punto entra in gioco un’altra figura, LA PERSONA, che è consapevole della propria esistenza, costituita da necessità ontologiche (dell’Essere), che devono essere manifestate attraverso la continua costruzione di sé.
La persona sa come autogestirsi, come organizzarsi.
Ha ben chiari i concetti di cooperazione, mutualità e solidarietà.
Sa che la cooperazione si deve basare su un messaggio di reciproca responsabilità degli accordi liberamente convenuti e non di paura e ricatto dato dalla legge.
Il presupposto che l’essere umano sia incapace di darsi autonomamente una guida è profondamente errato. È necessario per qualunque tipo di potere perché quest’affermazione prevede la figura di un intermediario che pensa e agisce in suo nome e per suo conto.
Si dà per scontato che qualcuno ti guidi e scelga per te nella tua vita.
S’inventa la proprietà, la gerarchia, la guerra e il potere religioso, così il cerchio si chiude.
Le prove di ciò che affermo?
Quante ne vuoi ma ne citerò soltanto tre, una risalente al 10 000 a.C., un’altra al 7 000 a.C. e la terza, non ci crederai, dei nostri giorni: ottobre 2018.
1) FRANCESCO SABA SARDI
L’opera di Francesco Saba Sardi, “Dominio” (Edizioni Bevivino) bello e introvabile testo in cui si afferma che il potere al momento del passaggio dal Paleolitico al Neolitico, in cui ha iniziato a coltivare la terra e allevare gli animali, ha avuto la necessità di soggiogare masse d’individui e convincerle a lavorare per lui (il potere).
Il passaggio alla stanzialità ha stimolato un nuovo tipo di rapporto tra gli esseri umani. In questo nuovo gioco è entrato prima il concetto di proprietà, al quale è subito seguito quello di guerra per conquistare o difendere la proprietà stessa. Il potere religioso si è accodato perché necessario per convincere le masse e per frapporsi tra il senso del sacro che tutti gli esseri umani possiedono e la divinità che sarà posta in via esclusiva in mano ai sacerdoti, agli iniziati, a tutti quelli che il potere avrà designato.
I pro-fani ovvero chi sta davanti al tempio (quindi fuori), non potranno più avere accesso al divino, se non si adeguano al potere dominante.
Anche troppo sinteticamente questo è il disegno dello storico su come sia iniziato il dominio nel mondo.
2) LE SOCIETÀ GILANICHE
Un altro riferimento importantissimo è dato da alcune società denominate Gilaniche. Organizzazioni sociali anteriori al patriarcato, esistite in Europa tra il 7 000 e il 3 500 a.C. e caratterizzate dall’eguaglianza tra sessi e dalla sostanziale assenza di gerarchia e autorità centralizzata.
Tra il 4 300 e il 2 800 a.C. la struttura gilanica. Sarebbe stata soppiantata da un’altra cultura neolitica, quella dei Kurgan, una società androcratica e patrilineare emersa dal bacino del Volga. Il termine è stato coniato dall’archeologa di origine lituana M. Gimbutas (1921-1994) utilizzando le radici greche gy (donna) e an (uomo).
La cultura gilanica non prevedeva la guerra.
Non sono state mai trovate armi, né mura di cinta in tutti gli scavi archeologici.
Questa esperienza storica durata qualche migliaio di anni testimonia che si può vivere in altro modo, senza un’autorità centrale, differenza tra i sessi, con la volontaria condivisione delle regole di coesistenza basate sulla mutualità, la cooperazione e la solidarietà.
Una vera autogestione responsabile.
3) REFERENDUM SULL’AUTONOMIA
Sotto il più totale silenzio delle istituzioni e dei media, in Veneto e in Lombardia si è votato domenica 22 ottobre 2018 nei referendum sull’autonomia che sono stati indetti con l’obiettivo di ottenere più forza politica prima di chiedere maggiore autonomia per le due regioni nella gestione delle proprie risorse. I referendum, legali e indetti con l’accordo del governo, erano consultivi: né le regioni né il governo saranno vincolati dal risultato.
Gli unici dati disponibili a oggi sono le stime pubblicate dalle regioni.
LOMBARDIA: l’affluenza sarebbe stata tra il 38 e il 39 per cento; il Sì avrebbe raccolto il 95,3 per cento, il no, il 3,9 per cento. In Lombardia non era previsto il raggiungimento di un quorum.
VENETO: l’affluenza è stata del 57,2 per cento. È stato quindi superato il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto, e il 98,1 per cento degli elettori ha votato Sì.
A chiudere il cerchio c’è stata la dichiarazione ufficiale dell’attuale Ministro dell’Interno Matteo Salvini che diceva:
«Sei milioni d’italiani sono andati a votare per l’autonomia. Se Roma non riesce a fare le cose fatecele fare a noi. Se non riesce a gestire i treni, le autostrade, gli ospedali, i tribunali, fatelo fare a noi. Dare un seguito alla voglia di autogoverno e di libertà che milioni italiani hanno espresso, per il momento in Lombardia e Veneto, ma un domani perché no in Puglia, in Liguria, in Abruzzo e Piemonte? Se lo Stato fa, tutto fa poco e male. Se Bruxelles fa, tutto fa poco e malissimo, facciamo in modo che l’Italia dei territori, delle bellezze, delle lingue e dei profumi, si autogestisca, ovviamente in una cornice di unità del paese».
Lungi da me tifare nella politica, devo però prendere atto, con tutto il “politichese” del caso, che si sta affacciando un modo diverso di “fare comunità” di stare insieme.
La strada è assai lunga e perigliosa ma non abbiamo alternative: o sprofondare sempre più nel degrado con tanti Patanè oppure cercare altre soluzioni.
In generale quasi tutte le culture hanno devastato l’animo umano, costringendolo a vivere una vita dissociata dal proprio intimo, innaturale e antiumana, abbrutendolo fino al punto di fargli cedere la libertà in nome della libertà.
L’uomo deve veramente riprendersi quello che è suo, lo deve capire, volere, e attuare.
Prima di diventare liberi bisogna volerlo essere.
- I SOGNI NEL FILM
Come di consueto, al fine di imparare a interpretare le immagini, preleviamo una scena compiuta dal film e la consideriamo alla stregua di un sogno. Poi valuteremo se il risultato che scaturirà sarà coerente con il film.
La scena iniziale quando I due si affrontano con i rispettivi mezzi in un vicolo stretto, il guidatore del furgone procede contromano e costringe il conducente della panda a indietreggiare, pur avendo ragione, fino a causare un piccolo incidente al paraurti dell’utilitaria.
Leggiamo le immagini.
Due mezzi si contendono la viabilità di una strada molto stretta. Il furgone più ingombrante con una pubblicità elettorale più marcata procede incurante delle regole della circolazione stradale. Il guidatore della panda sceglie di indietreggiare, incalzato dalle affermazioni di stampo mafioso tipo “indietreggiate e non vi sarà fatto alcun male” fino a uscire dal vicolo e tamponare un’auto retrostante con sganciamento del paraurti della piccola vettura.
Che cosa significa?
L’automobile sta a significare il modo in cui sto conducendo la mia vita. Un mezzo vecchio, sporco, rotto è molto diverso da un mezzo potente, pulito e efficiente. Poi bisogna osservare con chi sono in auto, chi guida e quali bagagli sono presenti. Va da sé che se sogno che guida un altro vuol dire che io ho delegato la conduzione della mia vita.
Il furgone si differenzia dall’utilitaria per ingombro, massa di carico, visibilità.
Questo è un sogno che avrebbero potuto fare entrambi i personaggi.
Vediamo.
IL FURGONE E IL SUO GUIDATORE
Se il sogno lo fa il guidatore del furgone, vuol dire che grazie al carico maggiore che può trasportare, riferito all’importanza e alla fama del candidato, anche se dovrà usare delle strade contrarie alla legalità, ce la farà a scalzare il piccolo e onesto che viaggia con diritto di precedenza, fino a fargli crollare le difese (paraurti che cade). Il modo di procedere è come abbiamo già detto assolutamente illegale sia con le parole minacciose sia con l’uso continuo degli abbaglianti, del clacson e della gestualità, che altro non sono che immaginari colpi di arma da fuoco indirizzati all’avversario.
Da notare lo slogan elettorale: «Vota Patanè senza chiederti il perché».
Questa frase sintetizza molto bene l’essenza del perché sono eletti delle persone dalla dubbia moralità.
La grande maggioranza per paura e pigrizia preferisce rilasciare deleghe in bianco. Nessuno si cura mai di andare a vedere se chi ha votato, mantiene le promesse e come agisce veramente.
Il guidatore del furgone è solo e sta riuscendo nell’impresa.
LA PANDA E IL SUO GUIDATORE
Se il sogno lo fa il guidatore della panda significa che nonostante i suoi sforzi il sistema d’illegalità avrà la prevalenza nella vicenda e lui non riuscirà a difendersi poiché le poche difese che può mettere in campo si smonteranno facilmente. Andare a retromarcia significa rinunciare ad andare per la propria strada, regredire, non è mai un buon segno.
Affronteremo il tema del guidare molte altre volte.
C’è da dire che nella panda sono in due.
Stiamo parlando di una diade. Ovvero la relazione tra i due non è funzionale al guidatore. Inoltre l’auto è piccola, le capacità del suo guidatore sono modeste.
Come puoi vedere gli argomenti veri che questo film suscita, non sono minimamente considerati e tutto è livellato invocando un semplice rispetto delle regole.
Perché non invocare al rispetto di se stessi?
Maurizio Fani