Una famosa frase recita: “Se ami il canto degli uccelli non comprare una gabbia ma pianta un albero”. Io definisco questa visione come la “Legge della gabbia e la “Legge dell’albero”. Due modi assolutamente diversi di comprendere la vita. la frase si riferisce chiaramente ai rapporti sentimentali e suggerisce l’idea che tutto ciò che tende a impedire la naturale evoluzione dell’altro deve essere accantonato.
Al contrario, perché stiamo parlando di pennuti che vivono sugli alberi, tutto ciò che tende a mantenere la naturalezza dell’esistere di quella creatura perché si evolva e sia felice, per com’è nel suo unico e irripetibile progetto di vita, deve essere approntato.
Un uccello, se sta bene, rimane libero sull’albero che gli hai preparato.
Non è costretto o forzato a restare. Lo fa perché così è felice. Si deve sempre perseguire il bene dell’altro. Solo così lo starci insieme sarà una grande festa. Sarebbe sufficiente riflettere su questi scarni concetti per giungere a una visione molto diversa del rapporto di coppia tra gli esseri umani.
La tentazione di vedere l’altro come parte di un protocollo in cui collocarlo e al quale attenersi è sempre troppo forte ed è la principale causa del dissesto psicofisico delle persone. La famiglia, intesa nel suo termine più comune, è il luogo ove avvengono le più incredibili violenze sull’individuo.
Donne sofferenti, con crisi di panico, ansia, disturbi psicologici di ogni genere se non con patologie drammatiche, sono così ridotte proprio grazie al loro ruolo di mogli, madri, amanti, che funge da gabbia, da “spazio di contenimento” al di fuori del quale non possono esistere come persone e, ancora prima, come anime. Lo stesso si può affermare per i maschi, sempre pronti a lamentarsi e a “ritirarsi” dal rapporto, ormai logoro, statico e stanco per affogare in attività ludiche o extra amatorie.
Per la mia esperienza di psicologo clinico è quasi sempre la donna che dice basta a una situazione che non regge più, i maschietti sono più restii.
Si lamentano sempre, apparentemente soffrono ma, di fatto, nulla fanno per cambiare le cose. Non si impegnano neanche a risolvere il loro dolore. Sono spesso intenti ad accusare e giudicare. Tutto qui.
E allora la donna è accusata perché abbandona, perché non è più disponibile al sommo sacrificio di se stessa per gli altri, genitori, mariti, amanti e figli compresi. Una donna che dice sì a se stessa sovente ha la famiglia contro poiché l’intero assetto familiare si è sempre fondato sulla sua rinuncia. Ti pare giusto? Quale aberrazione più grande di quella di non riuscire a vivere per come si è può esistere?
Pensaci bene. Rifletti.
Perché avviene questo?
La legge della gabbia.
Si blocca la persona in una data situazione pretendendo che questo sia il massimo della felicità alla quale può ambire, perché si è sempre fatto così. Lo dice la legge, l’etica, la morale, la religione, l’usanza, la mamma, il prete. Ma l’anima di quella donna dove è? Chi si è mai chiesto che cosa veramente desidera? Che cosa veramente è?
Le conseguenze?
Per colei che rinuncia a se stessa possono andare dal disagio, alle problematiche psichiche anche gravi fino a sviluppare malattie degenerative pesantemente devastanti.
Personalmente seguo disinteressatamente un gruppo di donne oncologiche in una mia chat a loro dedicata. È incredibile come donne, davvero molto belle, si siano rovinate nei loro punti più splendidi, proprio negandosi all’amore. Molte hanno rinunciato ad amare un altro uomo per lo stereotipo della famiglia, marito e figli. In cambio si sono prese il cancro al seno o alle parti intime e un marito che poco dopo si è dileguato con l’amante di turno.
Questo ci tengo a sottolinearlo perché sono storie vere non lette da qualche parte. Quasi sempre una donna in famiglia soffre. Più di un uomo poiché mediamente più sensibile e intelligente. Se poi la stessa ha una particolare sensibilità, per esempio dipingere, ecco che il dramma avanza poiché questa persona viene letteralmente “stoppata” da un uomo che non ha capito niente della sua anima, della sua profondità, ma la considera solamente come un elemento del quotidiano vivere (moglie, madre, amante).
Ecco la quotidianità è un altro punto dolente della “Legge della gabbia”.
Si pensa che sbrigare il quotidiano cioè fare la spesa, preparare il mangiare, pulire, stirare, andare in ferie, fare i weekend, corrisponda a una vita soddisfacente. Che errore!
Questa è la normale prassi per vivere ma non è la vita!
La vita è fatta di evoluzione, di crescita, di ambizioni, di scoperta di sé, di amore e non di routine e stereotipi. La vita può e deve essere intrigante, avventurosa, bella.
La felicità altro non è che il rispetto e la relativa concretizzazione dei bisogni ontologici di ognuno. Ognuno deve conoscere com’è fatto dentro e costruirlo fuori in libertà.
La progettualità tra due persone che si amano è d’obbligo.
La visione del futuro mantiene giovani e impedisce il decadimento psicofisico.
Invece le persone si sposano, fanno figli, vanno in pensione guardano i nipoti e poi muoiono. Ma questo è “sedersi”, non vivere!
Alessandro Dumas nel “Conte di Montecristo” scrive: «Ognuno cerchi il suo albero».
Non parla di gabbia.
L’”ARTE DI LASCIARE ESSERE”è necessario impararla, coltivarla e diffonderla, poiché rimane la principale assicurazione sulla salute che potremmo mai avere.
Maurizio Fani