Tutti noi frequentatori di questa piattaforma utilizziamo il simbolo del “mi piace”, con un preciso intento.
Nel film “Terminator 2” – Il giorno del giudizio (1991), con Arnold Schwarzenegge e diretto da James Cameron, è immortalata la scena del robot che si cala nel metallo fuso e prima di scomparire con la mano manifesta una gestualità ben nota.
Questa immagine ha commosso milioni di persone. Il T800, protettore del bambino, s’inabissa nel metallo fuso per eliminare l’ultimo chip esistente che porta dentro la sua testa, al fine di non creare più robot simili.
La scena che ha colpito più di tutte gli spettatori è stata quella della mano con il “mi piace” che scompariva nel metallo fuso.
In questa scena è racchiusa tutta l’essenza del film.
James Cameron, uomo di rara intelligenza qual è, ha racchiuso due messaggi, uno patologico e uno vitale. L’ha fatto mescolando le tessere proprio come al “gioco delle tre carte”. E, considerato il buon successo e l’impressione, che a distanza di quasi trent’anni le persone mantengono del film, ci è riuscito.
Su questi aspetti ritorneremo a breve con un altro post, ora concentriamoci sul “mi piace”.
Curioso il pollice in alto che scompare tra i flutti del metallo fuso.
Rappresenta il simbolo del “mi piace” di nota memoria, adottato poi nel 2004, anno di nascita di Facebook.
Questo segno, che altro non è che una simbologia romana, indicherebbe una vittoria, MA GRIDARE VITTORIA MENTRE CI SI SUICIDA NON MI SEMBRA UN GRAN GESTO, PIUTTOSTO UNA PIENA SCONFITTA. Rimane comunque una manifestazione schizofrenica.
Il pollice verso
Tradotto in italiano, vuol dire “con il pollice capovolto”.
È un’espressione latina impiegata nella Roma antica durante i combattimenti tra gladiatori. È consuetudine credere che la folla o l’Imperatore decretassero l’uccisione del gladiatore sconfitto tramite questo gesto.
Nella lingua italiana la sola espressione “fare pollice verso”, ha poi assunto il significato di “avversare”, “condannare”.
La nostra idea di pollice verso, perpetuata dai kolossal cinematografici, risalirebbe al 1872, quando il pittore francese Jean-Léon Gerôme (1824-1904) dipinse il pubblico del Colosseo che chiede la morte di un gladiatore con il pollice rivolto all’ingiù.
Siamo sicuri che il pollice in alto voglia veramente dire grazia o vittoria?
Le cose non sono andate così. Nell’antica Roma il pollice verso aveva un significato opposto a quello che gli attribuiamo oggi.
Grazie a un ritrovamento archeologico del 1997, nel sud della Francia, il mistero del pollice verso trova la sua spiegazione. Il medaglione di Cavillargues, conservato nel museo archeologico di Nimes, datato il secondo o terzo secolo, è un oggetto molto interessante che raffigura due gladiatori nell’atto di combattere.
Sono riconoscibili per via del loro equipaggiamento, un reziario a sinistra e un secutores a destra.
Il reziario deriva dal latino retiarius = l’uomo con la rete o il combattente con la rete.
Era una delle classi gladiatorie dell’antica Roma; i reziari combattevano con un equipaggiamento simile a quello utilizzato dai pescatori, una rete munita di pesi per avvolgere l’avversario, un tridente (fuscina) e un pugnale (pugio).
Lottavano con un’armatura leggera, proteggendosi il braccio con una lorica manica e la spalla con un parabraccio (galerus) e indossavano un indumento di lino (subligaculum), un sospensorio fissato alla vita mediante un ampio cinturone (balteus).
Non portavano alcuna protezione alla testa, né calzature.
Il Secutor era un’altra categoria gladiatoria dell’antica Roma.
È noto che combattesse, come opponente del reziario, poiché le categorie di combattimento erano standardizzate. Dal metodo di combattimento che tipicamente intraprendeva, ne deriva anche l’appellativo “inseguitore” per via del ruolo che aveva nell’arena.
In alto è presente una dicitura: stantes missi. Tale iscrizione è traducibile come: fatti uscire in piedi/rilasciati in piedi.
E significa, in pratica, che sono entrambi salvi perché è avvenuto un pareggio.
Il signore sulla destra con il braccio teso sta stringendo il pollice nel pugno chiuso. Questo gesto ci mostra quindi il suo significato proprio grazie alla dicitura. Lo scontro è terminato in pareggio e i gladiatori potranno abbandonare l’arena sulle loro gambe.
Tenere il pollice rivolto verso l’alto, imitava il gesto di sguainare la lama dal fodero, ricordando l’atto di impugnare un gladio, e quindi morte. Se il desiderio era di vedere la morte di qualcuno, si alzava il pollice, a simboleggiare una spada sguainata o secondo altre fonti, si puntava il pollice verso lo sconfitto e le altre quattro dita unite verso il basso, a indicare la destinazione degli inferi.
Se invece si voleva essere clementi con lo sconfitto, il pollice era infilato nel pugno chiuso, per rappresentare un’arma riposta nel fodero.
L’espressione latina che indica questo gesto è Pollex pressus = pollice compresso, la benevolenza s’indica con il pollice in dentro.
In generale, comunque, era molto difficile che l’imperatore decidesse per la condanna: i gladiatori erano come odierni atleti ed erano molto costosi da addestrare e mantenere, perciò solo chi si comportava vilmente in combattimento era punito.
Ad aggravare la situazione, poi, c’era un’ingente somma da pagare da parte dell’organizzatore dell’evento per ogni gladiatore morto.
Il “mi piace” è UN SIMBOLO DI MORTE, DI VIOLENZA E DI AGGRESSIONE.
Esattamente lo scopo per il quale gli androidi sono stati concepiti.
Considerarlo una gestualità positiva sottrae le persone alla vera natura del simbolo così da lasciarsi felicemente contaminare dalla violenza che è insita in lui.
Questo passaggio induce le persone a considerare il sacrificio della propria esistenza come una virtù, che merita addirittura il plauso, mentre è un principio assolutamente contrario a quello della vita.
I simboli agiscono, sempre. In loro è depositata un’intenzionalità, un volere, che corrisponde al volere di chi li ha creati o alle situazioni cui si riferiscono, e se non gli “apriamo” e ci sforziamo nel comprenderli non ne saremo immuni. La loro azione passa sotto la soglia della coscienza.
Allora non si deve più utilizzare il “mi piace”?
No, assolutamente, tutto si può impiegare, basta sapere quello che si sta facendo. Ora che lo sai, la violenza e la morte depositate in questo simbolo sono disinnescate e può tornare a essere semplicemente un codice comunicativo sul cui significato siamo tutti, concordi: mi piace il tuo pensiero, quello che dici, che hai scritto, che hai postato.
Conoscere per capire rende liberi.
Maurizio Fani