1. LA PRIMA IMMAGINE
  2. SI PUÒ DIRE DI NO!
  3. L’OBBEDIENZA
  4. LA DISOBBEDIENZA
  5. NON TUTTI HANNO AGITO COME GIULIO E I SUOI AMICI

 

Film del 2019, diretto da Gianni Aureli, realizzato anche grazie a un crowdfunding, pieno di attori giovani.

La sceneggiatura ha beneficiato delle bellissime montagne della Val Codera. In alcuni punti il film scivola negli anacronismi: scarponi con suole di Vibram (Vibram è un’azienda italiana che produce suole di gomma per scarpe per arrampicare), uniformi inusuali, costumi freschi di sartoria senza “vita vissuta”, e radiolina a transistor in mano al sacerdote che dal rifugio di una malga ascolta radio Londra.

Le radioline similari entreranno nell’uso comune vent’anni dopo.

 

A parte questa superficialità storica il film è interessante, non tanto per la rievocazione di fatti accaduti, bensì per il significato profondo che questi ragazzi danno alla propria vita e che la critica non ha saputo cogliere.

 

Ritengo inutile polemizzare sugli eventi realmente avvenuti che il film ha tentato di ricostruire. 

Chiunque è portato a strumentalizzare questo film come meglio gli serve. 

Ci saranno quelli che elogeranno gli scout, quelli che acclameranno i valori cristiani e coloro che vedranno pienamente espressi i principi massonici.

Interessante su quest’argomento il libro scritto da un prete che era anche un massone, Rosario Esposito, Le Grandi Concordanze tra Chiesa e Massoneria” (Nardi, 1987), esaurito.

Rosario Esposito sosteneva la Massoneria e ne promuoveva gli ideali e i principi in ambito della Chiesa Cattolica Romana, e sosteneva tantissimo il movimento scout considerandolo uno dei più importanti fenomeni educativi del secolo ancorato a un pensiero laico.

Robert Baden-Powell (1857-1941) fondò nel 1907 il movimento dei Boyscout, traendo ispirazione dall’arte della sopravvivenza che lui stesso aveva messo in pratica nelle guerre Boere (e non solo) come ufficiale inglese in Africa.

Egli affermava: «È qui dunque lo scopo più importante della formazione scout: educare. Non istruire, si badi bene, ma educare; cioè spingere il ragazzo ad apprendere da sé, di sua spontanea volontà, ciò che gli serve per formarsi una propria personalità».

Il metodo consisteva in un apprendimento continuo “pratico” con esperienza diretta sul campo. 

Ciò che lui insegnava era principalmente un “fare”, creava l’esperienza dalla quale apprendere.

 

È innegabile che il fondatore dei Boyscout sia stato molto vicino alla Massoneria, sia attraverso l’amicizia di Rudyard Kipling e al suo “Libro della giungla”, sia al pedagogo belga Ovide Decroly (1871-1932), entrambi massoni.

Fu lo stesso Baden-Powell nel 1931 a donare con una particolare dedica la propria Bibbia alla prima loggia australiana che decise di assumere il suo nome (n. 488 all’Oriente di Victoria). Bibbia che è ancora in uso in quella loggia. La dedica diceva: “Con i migliori auguri per il successo della loggia nella sua buona opera, Baden-Powell di Gilwell. 12 Maggio 1931”.

Negli Stati Uniti il legame fra boyscout e massoneria è tutt’oggi visibile ed evidente quanto quello delle associazioni scoutistiche d’ispirazione cristiana (sia cattolica che protestante). I “Boy Scout of America”, infatti, sono stati fondati nel 1910 dal massone americano Daniel Carter Beard (1850-1941). Ancora oggi l’ascendente e la vicinanza della massoneria a questo movimento è testimoniata dal fatto che la “Grand Lodge of Masons”, in Pennsylvania, ha istituto e conserva il “Daniel Carter Beard Masonic Scouter Award”, un riconoscimento per quei massoni che militano e sostengono lo scoutismo negli Usa.

 

Baden Powell, “BP” per tutti gli scout, era convinto che anche nel ragazzo meno disponibile per l’educazione esista almeno un cinque per cento di buono, sicché l’efficienza dell’essere umano è inversamente proporzionale alla quantità di sorveglianza di cui bisogna circondarlo.

«Bisogna dargli il massimo credito, favorendo il libero esercizio delle proprie inclinazioni e attitudini, senza mortificare la sua tendenza al rumore, al rischio, al movimento, coniugando in piena serenità i tre verbi fondamentali della sua esistenza: ridere, lottare, mangiare. Lo sviluppo della personalità risulterà così armonico, col senso di responsabilità che crescerà e s’affinerà con gli anni, fino a giungere, attraverso l’impegno costante di rendersi utile, al culmine del processo educativo».

Il suo motto era “Sii preparato”, sempre pronto ad affrontare la vita.

 

Tralascerò ogni inutile polemica sulla Chiesa, sul movimento dei Boyscout e sulla Massoneria, poiché sono certo che molti valori espressi nel film non facciano parte esclusiva di un preciso schieramento ma rientrino nell’ambito dell’essere umano pienamente consapevole.

 

La trama narra la storia di un gruppo di boy-scout di Milano che dopo l’editto di Mussolini di chiudere ogni associazione che non fosse allineata con i dettami fascisti, in qualche modo agirono di conseguenza.

Il periodo storico in cui si dipana il film va dal 1928 fino alla fine della guerra nel 1945. L’ambiente è la Lombardia, Milano e le montagne della Val Codera.

La val Codera si trova tra Sondrio, Novara e il cantone dei Grigioni in Svizzera. È una valle secondaria della Val Chiavenna, difficilmente raggiungibile se non attraverso impervi sentieri. 

  • LA PRIMA IMMAGINE

Ho evidenziato nell’immagine di apertura l’estrema attualità di questo film, e solo su quest’aspetto focalizzerò questo post.

Questa è costituita da una serie di montagne molto alte, aguzze e ripide, in mezzo alle quali s’intravede un sentiero che può essere un torrente o un passaggio. Quindi è la storia di una via di uscita, di una soluzione faticosamente cercata e assolutamente voluta per andare oltre, per superare grandi difficoltà.

La montagna, lo sappiamo tutti, è fatica.

Questi ragazzi concretizzeranno in un crescendo di azioni il loro impegno per restare liberi e autonomi, pagando tal volta anche prezzi molto alti.

Qualcuno di loro sarà picchiato, altri saranno inviati al fronte, alcuni perderanno la vita ma tutti, in qualche modo, manterranno una coesione e una ferma unione d’intenti.

 

Ed è proprio il grande impegno, l’alto senso di responsabilità e la determinatezza dei protagonisti che devono essere analizzati e capiti. Sono un’ottima occasione d’insegnamento e ci donano un esempio che in questo periodo sarebbe molto bene seguire.

Nei diciassette anni che il film abbraccia, vivranno, ameranno, rischieranno in maniera totale la loro vita col risultato di liberare se stessi e aiutare anche molta gente da morte certa.

 

Molto importante è la loro decisa volontà di non arrendersi al dominio fascista ma di continuare, come possibile, la loro personale ricerca di vita.

  • SI PUÒ DIRE DI NO!

A pochi minuti dall’inizio i ragazzi si trovano riuniti per prendere atto dell’editto di Mussolini e per riporre in un baule i vessilli e i simboli scout.

Il parroco osserva questo “funerale” chiudendo l’anomala funzione con la frase: «…In attesa di tempi migliori».

Giulio, legge l’editto di Mussolini, in silenzio ascolta tutti e poi si esprime così:

«Abbiamo promesso sul nostro onore per aiutare il prossimo in ogni circostanza, e NON È GIUSTO E NOI NON ACCETTIAMO CHE CI VENGA IMPEDITO DI VIVERE SECONDO LA NOSTRA LEGGE CHE È LIBERTA’, LEALTÀ E FRRATERNITÀ NOI CONTINUEREMO A CERCARE NELLA NATURA E NELL’AMBIENTE PER RENDERE FORTE IL NOSTRO CORPO E IL NOSTRO SPIRITO».

Ha disobbedito alle regole.

Vediamo l’etimologia dei termini obbedienza e disobbedienza.

  • L’OBBEDIENZA

L’obbedienza come virtù consiste in una disposizione interiore abituale a conformare le proprie azioni a un ordine impartito da un’autorità considerata legittima. 

Piena accettazione ed esecuzione di ciò che è comandato.

L’obbedienza è veramente una virtù?

Che cosa è una virtù?

Per Aristotele la virtù è aretè = la capacità di qualsiasi cosa, animale o persona di assolvere bene il proprio compito, che si può anche tradurre in eccellenza.

Si noti la radice ar da cui il latino ars = arte. 

Anche nel latino troviamo un concetto simile al greco, quello di virtus = forza coraggio, nel senso di una disposizione naturale a fuggire il male e fare il bene, perseguito questo come fine a se stesso, fuori da ogni considerazione di premio o castigo. 

La virtù è un’abilità che si manifesta con un’azione che supera una difficoltà.

Come dice Aristotele, la virtù non è una qualità ma sempre un abito.

Ha necessità della ripetizione per forgiarsi e il virtuoso è chi sa sottrarsi al male e produrre il bene.

Per l’uomo il sommo bene è di soddisfare le sue esigenze ontologiche, portando al massimo sviluppo possibile la propria unità d’azione, fisica, psichica e spirituale.

Conseguentemente l’obbedienza imposta non può essere considerata una virtù. Chi non ha margine di manovra non è obbediente ma obbligato, costretto.

Essere obbediente oggi ha assunto una precisa abitudine: dire sì il più possibile anche senza capire il perché.

Questo tipo di obbedienza rappresenta un abito (aristotelicamente parlando) degradato di ciò che invece dovrebbe essere una relazione tra esseri umani, ma ritenuto valido da molte forme di potere.

Questa è la definizione presente in ambito iniziatico, religioso, militare, burocratico e politico. 

Ogni forma di sottomissione è una costrizione che richiede obbedienza.

Se andiamo a leggere tutti i giuramenti fatti da chi aderisce alle categorie di cui sopra, troveremo un’accettazione totale della struttura e una sottomissione del singolo ai voleri dei superiori e dell’unità del gruppo.

La pena per aver trasgredito è composta di atroci scenari, per esempio in guerra (e non solo) l’insubordinazione è punita con la morte immediata.

In ambito iniziatico e religioso l’obbedienza richiama la docilità, virtù che consiste nel trarre insegnamento dall’ordine ricevuto, senza limitarsi all’obbedienza puramente materiale ed esecutiva, in modo da modellare il proprio criterio secondo l’insegnamento appreso.

Nella politica l’obbedienza è il pieno rispetto di chi all’origine traccia una strategia, anche se ai più resta oscura e imponderabile nella sua totalità.

Se leggi attentamente queste definizioni, facilmente intuirai che c’è qualcosa che non va. 

Com’è possibile far convivere l’essere se stessi come unico viatico per il raggiungimento della felicità con la sottomissione a un’autorità che devi considerare più importante delle esigenze del tuo Essere?

Com’è possibile adottare una morale esterna sostituendo completamente la tua morale fondamentale (che a questo punto non cercherai neppure), annullandola e relegandola a un ruolo di comprimaria che mai deve avere?

Com’è possibile conciliare le proprie esigenze ontologiche, che sono l’unica vera fonte di soddisfazione e felicità che l’uomo possiede, e il suo unico punto di riferimento, con veti, obblighi e limitazioni?

 

È evidente che queste definizioni sono state create con lo scopo di dominare l’essere umano e togliere dal suo controllo la possibilità di cogliersi libero e felice.

Questo è l’uso in negativo che è stato fatto dal potere e dal Dominio.

 

Per chi ricerca ciò che è, e non si piegano a questi giochetti, e non vuole fare il servo di nessuno, a scapito di se stesso, esiste anche un’altra interpretazione dell’obbedienza.

Obbedire deriva dal latino ob-audire = ascoltare stando di fronte.

Questa situazione è alla base di ogni diade evolutiva.

Un uomo si confronta con un altro uomo su un punto. 

Saper ascoltare vuol dire anche assumere informazioni e visioni che potrebbero rilevarsi molto utili.

Un tipo di rapporto che va assolutamente ricercato e curato. 

Stabilire una dialettica costruttiva dalla quale trarre beneficio, è una buona cosa.

Molte volte nel parlare con qualcuno noi stessi ampliamo la comprensione di un evento. Una diade evolutiva corrisponde a un sincero rapporto, dove l’unico bene in gioco è la migliore riuscita dell’altro.

Non c’è adeguamento ma evoluzione, crescita, sviluppo.

In questo caso, chi ascolta e comprende quanto vero possa sussistere nel ragionamento dell’altro, non obbedisce non annulla la sua libertà, ma la esalta. 

Non mortifica i suoi talenti, ma apprende come renderli manifesti.

Non si avvilisce all’umiliante ruolo del burattino, ma mette in moto i meccanismi più profondi dell’ascolto e del dialogo.

Obbedire in piedi è l’autentica natura dell’obbedienza, la cui dinamica suppone uno che parli e l’altro che risponda, entrambi fanno parte dello stesso movimento accrescitivo della vita. 

Uno che faccia la proposta con rispetto, e l’altro che vi aderisca con amore per se stesso, costituisce le basi della maieutica socratica. 

Uno che indica un progetto, un’idea senza alcuna imposizione e l’altro che con gioia assimila i contenuti unicamente per se stesso, non per soddisfare l’altro o conformarsi a un prestabilito ideologico, culturale o dogmatico.

Si può obbedire solo stando in piedi. 

In ginocchio si soggiace, non si obbedisce. Si soccombe, non si vive. 

La parola “obbedienza” va svincolata dal suo retaggio religioso e iniziatico. Nessun decentramento da sé può avere seguiti positivi per l’essere umano che vuole evolvere. 

In questo non c’è la tanto decantata umiltà dell’accettare volontà altrui.

Non è assolutamente vero che è superbo chi non obbedisce. 

Decidere per sé, non è un atto di altezzosità e di boria, bensì di sapienza e di responsabilità esistenziale.

 Il concetto di obbedienza va riportata al suo vero significato.

Si obbedisce per se stessi, perché è funzionale, è utile per il nostro progredire, ma in questo non esiste asservimento alcuno, nessuna sottomissione, non ci mettiamo in secondo piano ma rimaniamo ben saldi in una posizione di assoluta preminenza.

A conferma di ciò prendiamo spunto dai Greci.

Per loro l’espressione latina ob-audio = essere in ascolto, dipendere dall’ascolto si traduce in hyp-akuein = stare sotto l’ascolto. 

Hypo = sotto, ma stare sotto l’ascolto nulla ha a che fare con l’essere sopraffatto. Se io decido, quindi è un mio atto di volontà, di prestare ascolto a qualcuno, mi sto facendo carico del suo dire, lo prendo su di me e non ne rimango annientato.

Eupeitheia è un’altra parola “greca” nella quale eu = bene e peitho = persuadere, indica un lasciarsi persuadere, convincere.

Quello che veramente è importante è il prestare ascolto, considerare l’altro degno di attenzione, pensare che anche l’altro abbia qualcosa di utile da dire per noi.

In questo modo si è obbedienti, anche se alla fine rimarremo della nostra idea e diremo no. 

L’obbedienza non si subisce ma si concede ed è un fenomeno tutt’altro che passivo e automatico, che porta con sé, orizzonti di libertà.

 

  1. LA DISOBBEDIENZA

Basta pensare a tutte quelle situazioni che un bambino deve affrontare. 

Andare a scuola, studiare, rispettare i familiari, non fare questo, non fare quello, ma fare quello che dicono genitori, parenti, insegnanti, figure religiose, amici, altri in genere.

Siamo abituati a obbedire, e tutti i discorsi fatti circa l’obbedienza si dissolvono. Quest’obbedienza, da strumento necessario per apprendere le virtù e le giuste misure, cioè l’equilibrio, lentamente si trasforma in una dittatura, dove l’aspetto di “ascolto evolutivo” lascia il passo a un’abitudine a dire di sì a scapito anche della propria vita.

Molte volte obbedire è sinonimo di arresa, sconfitta, umiliazione, prevaricazione e violenza.

Occorre rifiutare questo tipo di obbedienza.

Henry David Thoreau (1817-1862) filosofo, scrittore e poeta, nella sua opera “La disobbedienza civile” del 1849, scrive:

«Non mi interessa seguire il percorso del mio dollaro (ammesso ch’io possa farlo, finché questo non compra un uomo, o un moschetto con il quale sparare a qualcuno, il dollaro è innocente), ma mi preoccupo di seguire gli effetti della mia obbedienza». 

E ancora:

«La massa degli uomini serve lo stato in questo modo, non come uomini soprattutto, bensì come macchine, con i propri corpi. Essi formano l’esercito permanente, e le quattro milizie, i secondini, i poliziotti, i posse comitatus, ecc. 

Nella maggior parte dei casi non v’è alcun libero esercizio della facoltà di giudizio o del senso morale; invece si mettono allo stesso livello del legno e della terra e delle pietre, e forse si possono fabbricare uomini di legno che serviranno altrettanto bene allo scopo. Uomini del genere non incutono maggior rispetto che se fossero di paglia o di sterco. Hanno lo stesso tipo di valore dei cavalli e dei cani. Tuttavia persino esseri simili sono comunemente stimati dei buoni cittadini. Altri, come la maggior parte dei legislatori, dei politici, degli avvocati, dei ministri del culto, e dei funzionari statali, servono lo Stato principalmente con le proprie teste; e, dato che raramente fanno delle distinzioni morali, sono pronti a servire nello stesso tempo il diavolo, pur senza volerlo, e Dio. Pochissimi, come gli eroi, i patrioti, i martiri, i riformatori in senso elevato, e gli uomini, servono lo Stato anche con la propria coscienza, e dunque per la maggior parte necessariamente gli si oppongono; e sono comunemente trattati da esso come nemici. 

Un uomo saggio sarà utile soltanto come uomo, e non si sottometterà ad essere “argilla”, né “ad otturare un buco per non far entrare il vento”, ma lascerà questo compito alle sue ceneri almeno: “Sono di nascita troppo nobile per diventare di proprietà, per essere il secondo al comando, o un utile servo e strumento di qualunque stato sovrano al mondo“. Chi si concede interamente ai propri simili appare loro essere un uomo inutile ed egoista; ma chi si concede loro solo in parte, è considerato un benefattore e un filantropo». 

 

È però bene porre molta attenzione a quest’azione di rigetto. 

Solitamente il disobbediente tende a distruggere l’imposizione e l’impositore ma non è in grado di essere lui stesso legislatore di un qualcosa di migliore, di più adatto.

La disobbedienza così indicata non è mai distruttiva ma è l’unico strumento che l’uomo ha di fronte alla violenza di un sopruso.

Pensiamo per un attimo al “dover essere” o al “dover fare”.

Quante volte nella vita le abbiamo pronunciate tutti noi?

Moltissime, nessuno escluso.

Queste sono cattive abitudini che vanno prontamente mollate, sono fra le principali cause della sofferenza delle persone nel vivere il quotidiano.

Viviamo senza Essere, con l’obbligo di “dover essere” imposto da qualcuno.

Presa coscienza di questo, l’individuo che si vuole, ha alcune opzioni:

  1. Gli altri sono tanti, troppi, non ho speranza: mi adeguo.
  2. Gli altri sono tanti, troppi, non ho speranza, quando sono insieme con loro, mi adeguo e quando sono solo, faccio come mi pare, m’illudo di fregarli ma sono loro a fregarmi costringendomi a un gioco che non è il mio: il risultato è che comunque mi adeguo.
  3. Gli altri sono tanti, troppi, ma voglio esistere anch’io mi ribello, denuncio il sistema, faccio il complottista: apparentemente sono contro ma di fatto mi adeguo a fare la mia parte a favore del potere. A favore o contro, faccio sempre parte del gioco. Parlerò tanto ma non farò mai azione esistenziale vera, poiché la parte assegnatami dal sistema è di lamentarmi e inveire, mai quella di fare: anche qui mi adeguo.
  4. Gli altri sono tanti, troppi, ma voglio esistere anch’io vado contro il sistema in maniera violenta: ottengo solo il rinforzo del dominio e la pronta eliminazione. In sostanza un suicidio.
  5. Gli altri sono tanti, troppi, ma voglio esistere anch’io. Ma non con azioni di violenza, di ribellione, di accusa e d’indignazione. Prendo atto della mia unicità e da questa costruisco me stesso nel mondo: non mi adeguo e comincio a vivere per come sono stato progettato dalla vita. Creo, insieme con altri miei simili, un sistema parallelo, un mercato a latere. Costruisco un nuovo modello di vita che soddisfi i bisogni insoddisfatti di tutti i partecipanti. 

 

Solo ora il disobbediente inizia a vivere, in compagnia di un mucchio di problemi. Chi si adegua vede i problemi e le difficoltà come causa della propria incapacità, chi non si adegua li vede come momenti di espansione, di crescita esistenziale.

I problemi si trasformano in opportunità, prove, sfide che costringono a mettere in gioco tutta l’unità d’azione che l’uomo è.

A ogni problema segue una soluzione e con essa la rinascita di un uomo nuovo.

Fare epochè per una persona obbediente è una sciagura, per il disobbediente è una gioia. Cessare di avere le stesse certezze che hai sempre avuto, pensare che forse hai sbagliato sempre tutto, dire “che stupido che sono stato”, è un momento d’incredibile crescita, è la strada verso la felicità.

Sospendere il proprio assenso non ai fenomeni che sono innegabili, ma al fatto di considerarli alla stregua di verità assolute, riconoscendo la loro natura di formulazioni di pensiero arbitrarie, spesso volutamente falsate, per esigenze di dominio.

La cosa principale è che ognuno faccia appello alla sua unicità, cessare di pensare come fanno i molti e costruirsi il proprio pensiero. 

Non contare più sulla collettività in quanto massa, sugli altri, sul sistema, sui santi, sui saggi, ma cercare di dare vita a sistemi alternativi paralleli.

 

Io non ti dico cosa pensare, questo non lo farò mai. 

Ti facilito il compito offrendoti alcuni consigli perché tu possa sviluppare il tuo pensiero autonomo e critico.

Questo è il più grande atto rivoluzionario che puoi fare: pensare con la tua testa, agire e verificare personalmente se ciò che hai messo in campo è valido o meno. Il risultato certificherà la bontà del tuo atto esistenziale.

  • NON TUTTI HANNO AGITO COME GIULIO E I SUOI AMICI

Appare evidente che appellarsi esclusivamente al fatto che questi ragazzi appartenessero agli scout non spiega per intero il loro comportamento.

Lo stesso Giulio, quando la sua responsabilità crescerà, dirà: «Per essere fedeli occorre essere ribelli».

 

Che cosa significa?

Per rimanere coerenti con la propria vita (fedeli) è necessario ribellarsi a chi vuole impedircelo (dominio).

 

Per comprendere appieno questo passaggio è necessario slegarsi dalla storia, altrimenti si rischia di vedere solo la punta dell’iceberg.

Giulio è l’elemento più in vista del gruppo. Ha coraggio, iniziativa e carisma.

Ha già capito che deve trovare un posto speciale dove poter continuare a vivere secondo la legge scout ma in realtà ne ha bisogno per essere se stesso e non piegarsi a uno stupido ostacolo.

 

Così che nasce la scoperta della Val Codera, difficile da trovare ma che nel prosieguo della storia rappresenterà la parte centrale del loro lavoro. 

Portare in salvo persone perseguitate che se prese dai nazisti o dai fascisti sarebbero immediatamente passate per le armi.

Ma non solo.

Il film inizia con un prigioniero nazista che è scortato da una guida del gruppo, per essere consegnato in Svizzera dove subirà un regolare processo. Se i partigiani lo prendessero lo fucilerebbero immediatamente.

 

Molte volte nella vita dobbiamo avere il coraggio di dire NO!

 

Ma lo possiamo fare solo se abbiamo maturato un desiderio di vita e una minima consapevolezza di quello che intendiamo diventare ed essere, altrimenti non sarà mai possibile che ciò avvenga.

 

Aquile randagie in questo contesto non sta ad indicare un errare senza méta ma un esistere senza padrone.

 

Maurizio Fani

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