Come si fa a conoscere qualcosa che ignoriamo? La conoscenza non posso cercarla, perché che cosa cerco? Non posso trovarla, e anche se la incontro per caso, perché non conoscendola non la riconoscerei. Allora come risolvere questo dilemma apparentemente insolubile? Chiediamo aiuto a Platone.

       

      Platone considera l’esperienza dei sensi insufficiente per conoscere.

      Cioè le sensazioni sono imperfette, non colgono l’uguaglianza e la differenza.

      Se odi il rullio di un tamburo e vedi un uomo che percuote il suo tamburo, colleghi ciò che odi con ciò che vedi. Ma il nesso tra le due situazioni non proviene dalle sensazioni uditiva e visiva insieme.
      È qualcos’altro che dona la “conoscenza di ciò che è”.

      Che cos’è questo qualcos’altro?

      Deve esistere un qualcosa che ha il parametro esatto di ciò che è.

      Occorre cercare quella parte di noi che possiede “la conoscenza del vero”, poiché i sensi non sono in grado di confortarci.
      I sensi sono ingannatori, quello che appare davvero non è ciò che è realmente.

      Se quella parte che abbiamo dentro possiede già la conoscenza del vero, chi è stato a istruirla? Oppure l’ha sempre posseduta e noi non lo sapevamo?

      Platone afferma che tutta la nostra conoscenza è patrimonio dell’Anima.
      A noi spetta solo risvegliarla con un opportuno cammino che va dalle immagini sensibili alle Idee che risiedono nell’Iperuranio.

      Analizziamo bene quest’affermazione.

      Lui sostiene che la nostra Anima già conosce tutto ciò che ci può servire.
      In qualche modo l’espressione partenopea “nato imparato” trova la sua più felice collocazione. Abbiamo tutte le risposte ma non sono immediatamente disponibili, perché sono proprie dell’Anima.

      Al di là di molte considerazioni che si potrebbero fare, a me interessa focalizzare solo un punto: l’accesso all’Anima è dentro di noi e si raggiunge con l’introspezione e non certo prendendo un treno o camminando per anni -verso oriente (dove sorge il sole).

      Conseguentemente fino a quando non capiremo che la ricerca principale.,° non è “scalare montagne di libri” come nella vignetta, bensì scendere dentro se stessi e cercarsi.

      Infatti, l’Iperuranio è un luogo trascendente, è quel mondo oltre la volta celeste che è sempre esistito, nel quale ci sono le idee immutabili e perfette, ed è raggiungibile solo dall’intelletto, non attraverso i sensi.
      Si può paragonare all’empireo dantesco o al paradiso cristiano.

      Occorre andare oltre il sensibile,e aprirsi al sovrasensibile, al trascendente. Le idee sono criterio di giudizio delle cose.
      Un criterio che conosce perfettamente l’uguale e il diverso, un criterio che sa discernere, cioè separare ciò che è bene da ciò che non lo è, quindi le idee sono anche la “causa” delle cose.

      Siamo arrivati nella stanza dei bottoni.

      Se tu arrivi a conoscere la causa di ogni cosa, per default hai l’evidenza del bene e del male. Bene e male riferito a chi o a che cosa? A te.

      Una volta giunto lì, saprai ciò che è bene o male per te.
      Otterrai l’evidenza della causalità di tutta la vita.

      Le idee platoniche vanno così a tessere una “trama” di essenze aventi un ordine gerarchico piramidale, con le idee-valori in cima e l’idea del Bene al vertice, la quale supera tutte le altre per “valore e potenza”.

      Il concetto di Bene è il massimo valore-principio cui l’uomo deve ispirarsi.

      Il Punto Zero, essendo l’epifenomeno dell’Anima, è il massimo concetto di bene al quale ogni individuo deve attenersi per poter poi avere accesso, una volta soddisfatto questo Punto, alla propria Anima.

      E da lì conoscere l’intero Universo.

      Nel trattato “Ad imaginem Dei et ad similitudinem”, attribuito a Gregorio Nisseno (335-395 d. C.), teologo e vescovo greco antico: «Se vuoi conoscere Dio, devi prima conoscere te stesso: parti dalla comprensione di te stesso, dal tuo modo di essere, dal tuo intimo. Entra, sprofondando in te stesso, scruta nella tua anima, per individuare la sua essenza e vedrai che tu sei fatto a immagine e somiglianza di Dio».

       

      Per chiarire il paradosso iniziale la conoscenza non si acquisisce solo con lo studio e l’incameramento di nozioni, né tanto meno con lo scimmiottamento di parole e gesti altrui. La conoscenza è un “atto creativo” che necessità del “vero” di noi stessi perché nasca e si sviluppi. Solo quando entrerai in possesso della tua autenticità potrai parlare di vera conoscenza, riconoscerla, amarla ed impiegarla per la tua vita.

       

      Priva di questa condizione, ciò che resta è solo opinione.

       

      Maurizio Fani

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