L’acerrima nemica delle donne: la femminilità.
È verissimo: siamo in una società maschilista.
Finchè la donna vivrà questo come un sopruso del maschio (fatto in parte reale) rimarrà bloccata, cristallizzata in una femminilità artificiale e deviata, suggerita per renderla inefficiente.
La donna viene stretta in dei ruoli ben definiti: moglie, madre, figlia, amante, santa, meretrice, pazza, diabolica, perversa, lussuriosa.
Mai se stessa.
Non ha scampo. Non può, non deve.
Pensa un momento al “Ministero delle Pari Opportunità”, al femminicidio, alla violenza sulle donne, e a tutti quei tentativi di confermare a livello istituzionale la donna come appartenente al sesso debole, e quindi bisognosa di protezione.
In realtà questi sono tutti modi per inferiorizzarla e mantenerla sempre al centro dei profili psicologici stereotipi di cui abbiamo accennato sopra.
La donna scambia tutta questa “attenzione” come protezione ma non è così. Se una è pari, è sufficiente che lo sia interiormente, cioè che trovi la sua (e non un’altra) libera e vera femminilità interiore, in armonia con l’unicità che contraddistingue la sua anima.
L’esatto contrario del sentirsi “donna” che tanto piace e da sempre considerato socialmente auspicabile. Non certo un riconoscimento esterno sarà sufficiente a renderle giustizia. Questa rinuncia ad Essere, la donna la vive da tempi lontanissimi e la prima responsabile è lei stessa, che per paura, per pigrizia e per una sorta di timore reverenziale nei confronti della sua figura femminile di riferimento (quasi sempre la madre), non raccoglie le sue vittorie ma si accontenta di vivere in mediocrità.
Il principale problema femminile è costituito dalle altre donne, che continuamente richiamano la donna a vivere nell’aberrazione.
Dal latino aberrare, composto da ab = da e errare = vagare. Designa un ritrovarsi a vagare fuori dalla giusta via. Non è un errore casuale, c’è qualcosa di intenzionale, di pesantemente innaturale, perfino disgustoso.
E la continua accusa al maschio nulla porta di buono. Da una parte si accusa l’uomo di mancanze e carenze e dall’altra si imita e si copia il suo stile.
Il risultato è una perdita secca. Una sconfitta prima spirituale e poi fisica.
Per quanto possa parere strano non ci sono maschi manipolatori come nel film “Gaslight” (Angoscia, 1944), non ci sono narcisisti patologici che provano piacere a infliggere sofferenza. O meglio, certo che esistono queste perversioni, ma solo in quanto la vittima lo vuole e lo permette.
Qualcosa di più di una semplice connivenza, alla base c’è una volontà, un’intenzionalità ben precisa, una “carenza d’Essere”. È perfettamente inutile lavorare sullo stato di vittima, se non si opera un intervento urgente e massiccio sulla carenza di Essere, che è alla base di queste indecenze.
Focalizzandosi sulla sofferenza il problema si rinforza, perché quella non è la soluzione. Sono formule sistemiche fornite ad hoc per il raggiungimento di un obiettivo, che non devono risolvere fin da principio. Prima Essere ciò che si è, indipendentemente dal sesso (maschio o femmina), poi tutto il resto, altrimenti il gioco della vita non riesce.
Maurizio Fani