Avrai fatto caso che sono pochi gli individui che studiano e ricercano continuamente. Di contro, la maggioranza è ferma su studi e conoscenze scolastiche e teoriche, ma niente di più.
Dicono di non avere tempo.
Una volta le informazioni erano più difficilmente acquisibili rispetto a oggi. Per chiunque voglia aumentare il proprio livello di cultura, molto è a sua disposizione.
È vero che su internet ci sono anche tante informazioni fasulle ma con un minimo di buon senso e un po’ di pazienza si può raggiungere un discreto risultato.
La conoscenza non è, come molti possono pensare, un accumulo di informazioni trascritte, registrate, o addirittura incise.
Avere letto tanti libri è solo un esercizio mnemonico che non apporta grandi sviluppi nella nostra esistenza.
La conoscenza è un atto creativo di continua rielaborazione cosciente di informazioni, connesse tra di loro di volta in volta in maniera diversa, le quali, prese singolarmente, hanno un valore e un’utilità insignificanti.
Quello che conta sono i collegamenti che partoriranno altre domande, che a loro volta genereranno nuove connessioni (risposte).
Ogni conoscenza deve essere impiegata come un ponte, solo per raggiungere l’altra sponda. Il ponte poi non te lo porti mica dietro!
Le informazioni devono essere distaccate dalla fonte e considerate per quello che servono, altrimenti si scivola nel fanatismo e nella ripetizione automatica.
Conoscere ciò che hanno detto Maometto, Cristo o Buddha è certamente molto interessante, diventare un loro seguace è un’altra cosa, soprattutto non è necessario.
Ogni qual volta esiste una struttura c’è la perdita del messaggio originario, e proprio da lì inizia ad agire il dominio.
La conoscenza tende a mutarsi in consapevolezza quando un’intelligenza utilizza sincronicamente se stessa, le proprie informazioni, la propria esperienza, in modo assolutamente coerente con il principio (il Punto Zero) che ha causato quella specifica individualità, con riferimento a uno scopo.
Il prodotto di questa sinergia è appunto un processo che ci vede partecipi, capaci di influenzare i singoli elementi che lo compongono.
Mi spiego meglio: è noto che l’apprendimento continuo è auspicabile, non solo mantiene allenata la mente ma fornisce sempre elementi nuovi alla nostra intelligenza, favorendo esperienze diverse.
Queste esperienze influiscono su di noi e consentono una crescita della consapevolezza.
Si tratta di una spirale infinita, che ci innalza e ci rende possibile comprensioni e correlazioni sempre più profonde.
La conoscenza è un atto creativo, ispirato da un’attività superiore, deciso dall’individuo, e celato alla maggioranza, la quale vede solo la singola informazione priva di ogni correlazione.
Considera solo le proprie percezioni sensoriali ma è scevra di quell’atto divino e intenzionale profondo che consiste nel voler conoscere le cose in sé con tutto se stessi.
Non puoi conoscere attraverso ciò che sai, poiché avrai una visione del passato che continua a operare nel presente.
Chiariamo meglio questo punto.
Ognuno di noi è il punto di arrivo di milioni di anni di condizionamenti.
Per conoscerli è necessario avviare una ricerca della conoscenza, cioè imparare quello che altri hanno detto prima di noi.
Queste informazioni possono esserci d’aiuto ma è utile mantenere la propria indipendenza rispetto a tutto il conosciuto.
Conoscenza e libertà devono procedere armoniosamente unite se vogliamo ottenere dei risultati veri.
Ti facciamo un esempio: se tu pensi un gatto, la conoscenza che hai del gatto è quella che più o meno tutti possiedono generalmente.
È un felino, graffia, mangia i topi e i pesci, si attacca alle tende e fa le fusa.
Un veterinario invece saprebbe immediatamente che tipo di gatto è, a quale razza appartiene e tanti altri dati zoologici.
Queste due tipologie di conoscenza, la tua, comune a tanti, e quella più specialistica di pochi, sono entrambe devianti dal vero che il gatto è.
Se vuoi conoscere il gatto non devi porre delle barriere tra te e lui.
Non ti devi affidare esclusivamente a ciò che sai o alla esperienza che tu hai avuto nel passato con i gatti, oppure a quello che altri ti dicono.
Semplicemente vivi la libertà di conoscere quel gatto, al di là di ogni altra aspettativa.
Allora conoscerai veramente quel gatto (proprio quello e non un altro), che è molto di più di qualunque conoscenza tu possa aver imparato.
Tu devi diventare quel gatto, in quel momento lui attira tutta la tua attenzione, il tuo amore, il tuo Essere.
Quel gatto è la cosa più importante del mondo per te semplicemente perché tu e lui, in quel determinato istante, siete la stessa cosa.
Questa è creatività allo stato puro, poiché tu diventi artefice delle tue scoperte e allo stesso tempo nessuna di queste ti possiede e ti vincola.
Sei TU CHE POSSIEDI TE STESSO, libero di conoscere il vero.
Quindi non quello che gli altri dicono, non quello che tu ti aspetti, non quello che appare, bensì ciò che è.
Questa è l’intuizione che si pone ai vertici del processo conoscitivo.
Per Socrate ogni conoscenza è vana se non è ricondotta alla propria autocoscienza, a quella voce dell’ dotata di consapevolezza, in grado di esaminare criticamente e smascherare l’inutile e falso sapere.
Nell’esposizione della “docta ignorantia”, in un momento drammatico della sua vita, durante il processo che si concluse con la sua morte, gli accusatori chiesero come mai la divinità, che conosce ogni cosa, avesse detto che il più sapiente di tutti era proprio quel Socrate che confessava di non sapere nulla.
Se davvero la sapienza consistesse nel non sapere niente, il sapere tutto sarebbe allora la massima sciocchezza.
Ma solo apparentemente è un paradosso.
Nel sostenere «So di non sapere» Socrate voleva intendere che la persona saggia è consapevole delle proprie lacune e di conseguenza è pronta ad imparare continuamente e a migliorarsi con umiltà, a differenza di coloro che credono di sapere tutto mentre sono solo dei presuntuosi, privi di sostanza, capaci di trincerarsi dietro qualche nozione per mascherare la sconfinata insipienza che li pervade. Forme vuote.
Condizione prioritaria per conoscere è accorgersi di non sapere.
Questa non corrisponde a un demerito bensì è una gigantesca apertura al mondo.
Dire di non sapere una cosa è liberatorio e precede l’atto di ricercare per conoscere.
Il sapere dei propri limiti conoscitivi consente di utilizzare il nostro pensiero al fine di porre le domande giuste per giungere a conoscere di più.
La vera sapienza nasce dunque dal conoscere se stessi.
Socrate pone la ricerca interiore come possibile fonte di sapienza e l’animo come luogo di ricerca, al termine della quale si giungerà alla consapevolezza della propria ignoranza, condizione legata alla natura umana.
Platone fa un passo oltre molto interessante, cioè per lui la conoscenza è un processo di reminiscenza di un sapere che giace già all’interno della nostra , ed è perciò “innato”.
Una tale conoscenza però non è insegnabile, né trasmissibile a parole, perché non è una tecnica o un metodo.
Chi la vuole donare può solo seguire la via maieutica, cioè aiutare l’altro a scoprirla e a costruirla da solo, mai, ripetiamo, mai, sostituendosi né tantomeno imponendosi.
La saggezza non può essere trasmessa.
Hermann Hesse (1877-1962), filosofo e scrittore tedesco, sosteneva che: «La saggezza che un saggio tenta di trasmettere suona sempre simile alla follia».
Tommaso da Kempis (1389-1471), monaco e mistico tedesco, fu il principale autore de “L’imitazione di Cristo”, un documento medievale dedicato alla formazione dei monaci.
Il testo è da considerarsi come il più letto dopo i Vangeli della spiritualità cristiana.
Nel passo iniziale si legge: «Non sono le profonde dissertazioni che fanno santo e giusto l’uomo; ma è la vita virtuosa che lo rende caro a Dio.
Preferisco sentire nel cuore la compunzione che saperla definire.
Senza l’amore per Dio e senza la sua grazia, a che ti gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi?
Vanità delle vanità, tutto è vanità».
Le parole poco contano, è l’esempio l’unica forma importante da mantenere.
Non per convincere, ma per comunicare un qualcosa di sé.
Sarà l’altro a decidere cosa fare dell’informazione.
Solo l’esempio può donare a chi sa ricevere i giusti valori, non la parola.
Molte volte è il silenzio che denota la sapienza in un uomo e non le sue parole.
Arthur Schopenhauer (1788-1860), filosofo tedesco, scriveva: «In genere è consigliabile palesare la propria intelligenza con quello che si tace piuttosto che con quello che si dice. La prima alternativa è saggezza, la seconda è vanità».
Colui che impara un metodo e lo mette in pratica, per quanto possa essere intellettivamente raffinato, in realtà poco ha capito del messaggio originario.
La sua ignoranza gli fa credere di possedere il metodo e la relativa conoscenza, ma non è così.
Quando si parla di metodo, si parla di un aspetto formalizzato, MA NON DEL PERCORSO VISSUTO per averlo compreso e costruito.
Limitarsi al “metodo” corrisponde a un rifiuto di miglioramento, a una dichiarazione di non voler cambiare.
Una cosa stupida per persone stupide.
La resistenza al cambiamento e il “fascino della pigrizia” spesso impediscono l’apertura di determinate porte.
È sempre opportuno sincerarsi se quello che andiamo dicendo possa essere compreso dall’altro nel modo corretto, altrimenti è bene tacere.
L’inganno dell’accesso disintermediato alla conoscenza è oggi il grande problema che pochi sono in grado di vedere. Esiste una mole infinita di sapere ma pochi sono coloro che ne hanno fatto diretta esperienza e possono raccontare “che cosa hanno visto”. Manca la narrazione di chi ha fatto quell’esperienza ed è in grado di porgertela nel migliore dei modi, non perché tu ti debba fidare a occhi chiusi ma perché tu possa farla in completa autonomia, ottenendo i migliori risultati possibili.
Conoscere è l’esperienza eterna della vita.
Maurizio Fani