1. ARISTOFANE NEL SIMPOSIO DI PLATONE
    2. SOCRATE E DIOTIMA DI MANTINEA
    3. CONCLUSIONE

Recentemente ho saputo che esistono guru, life coach, ipnologi e molte altre figure che aiuterebbero le persone a riconoscere la propria anima gemella o fiamma gemella, evitando di farle cadere nel pericolo delle “false fiamme gemelle”. In rete esistono molti articoli e video sull’argomento, che offrono anche dei dettagli mirabolanti e certamente esotici, spacciati con invidiabile autorevole certezza.

Tutto questo generalmente in cambio di molti soldi.

Il presupposto fondante di questa visione risiede nella predestinazione, cioè ognuno di noi si accorderebbe, prima della sua venuta su questa terra, con altre anime per incontrarsi ed evolvere. Io posso anche avere avuto delle esperienze tali da considerare quest’approccio possibile ma preferisco affidarmi a delle interpretazioni alternative che testimoniano più un capire che un credere. Per anime gemelle s’intende un insieme di due persone fra cui esiste un’affinità spirituale e sentimentale talmente profonda da poter essere interpretata come segno che fossero predestinate a volersi bene e aiutarsi. Le anime gemelle non sarebbero necessariamente amanti ma possono ricoprire i ruoli più vari: genitori, amici, figli, amanti. Un discorso diverso va fatto per le “fiamme gemelle” che si originerebbero da una stessa anima, divisa in due per provare l’amore assoluto.

Qui parliamo necessariamente di amanti. A questo punto si aprono dei dibattiti assolutamente curiosi circa le singole fasi dell’incontro tra fiamme, le false fiamme (incredibile ma esisterebbero anche quelle “fasulle”), differenza tra fiamme e anime gemelle, tra anime compagne e anime gemelle, non ultimo uno sguardo ai “fili karmici” non guasta. Per sfociare in eventi di gruppo, tenuti da guru del settore (?) (anche con consulenze individuali) a pagamento.

Il solo pensare che molte persone siano disposte a pagare cifre anche importanti per avere queste indicazioni mi fa accapponare la pelle.

 Ma andiamo ancora più nello specifico.

Qui di seguito ho riassunto i “segnali” che farebbero pensare di avere incontrato una “fiamma gemella”:


  1. Hai l’impressione di conoscere l’altro da sempre.

  2. Lo senti nel tuo profondo ne hai evidenza.

  3. La relazione è rassicurante.

  4. Condividete dei valori profondi.

  5. Guardate nella stessa direzione.

  6. Avete gli stessi obiettivi nella vita.

  7. Senti in te una forza e una gioia unica. È semplicemente la felicità che ti rende più bella.

  8. Non si tratta di un colpo di fulmine ma lentamente e con costanza, costruisci una visione del futuro.

  9. I difetti reciproci non sono più tali ma originalità reciprocamente gradite.

  10. Permette di realizzarti nella vita.

  11. Ti ritrovi in un percorso di crescita individuale.

Adesso esaminiamo la parte “filosofica”, in altre parole vediamo i concetti di “anime o fiamme gemelle” da molti trattati, su quali basi fondano la loro esistenza.

Il “Simposio”, opera di Platone, è un elogio a Eros, il dio dell’amore.
Si tratta di un resoconto dei dialoghi intervenuti tra alcuni ateniesi famosi come Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane e infine Socrate.
Dialogo immaginario tenutosi a casa del drammaturgo Agatone per celebrarne la vittoria alle competizioni teatrali appena concluse in Atene (416 a.C.).

Tutti i partecipanti faranno il loro discorso, l’ultima parola tocca a Socrate, che eleva l’argomento per profondità e raffinatezza. Lo fa però attraverso una donna, Diotima, che conosce veramente com’è nato l’amore (mentre lui non lo sa). Da notare che le donne al tempo non potevano partecipare ai simposi ma attraverso la mediazione di Socrate ciò avviene.

Vediamo alcuni punti salienti dell’opera, più precisamente il discorso di Aristofane e quello di Diotima attraverso Socrate.

1) ARISTOFANE NEL SIMPOSIO DI PLATONE

Aristofane (450-385 a.C.) è stato un commediografo greco antico di Atene. Precisamente un comico uno che spesso usava la burla nelle sue commedie, oltre 40 di cui pervenute a noi complete solo 11. Si tratta del mito delle due metà della mela.

Al principio, infatti, esistevano tre generi di esseri viventi: il maschio, la femmina e l’ermafrodito. Quest’ultimo incarnava entrambi. Quattro mani, quattro gambe, quattro orecchie, due organi genitali, essere uniformi su un collo perfettamente rotondo e di questa perfezione che dava loro forza e vigore, agli Dei incuteva sospetto e timore.
Si muovevano camminando in posizione eretta, e quando correvano con otto arti a disposizione su cui far leva, erano veloci come ruote.

Così divennero molto forti e il loro orgoglio era immenso, al punto da attaccare gli dei cercando di conquistare il cielo.

E così Zeus affermò: «lo credo che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più grande. Essi si muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che andranno su una gamba sola, come nel gioco degli otri».

Ecco che si è originato il mito delle “anime gemelle” alla ricerca perenne che qualcuno possa completare l’altro, ovvero ritornare integri. Ma il racconto continua e si fa sempre più interessante.

Quando dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due parti desiderava riconnettersi con l’altra. Si abbracciavano, si stringevano l’un l’altra, desiderando null’altro che di formare un solo essere.

Purtroppo perivano di fame e non facevano più nulla, perché ciascuna parte non voleva far nulla senza l’altra. E quando una delle due metà moriva, e l’altra sopravviveva, quest’ultima ne cercava un’altra e le si stringeva addosso.

La specie si stava estinguendo. Gli dei non potevano rinunciare alle offerte e alla devozione degli umani, per questo non li distrussero ma li limitarono solamente. Per evitare la fine dell’umanità, sono stati spostati i genitali sul davanti. Fino allora gli uomini li avevano sulla parte esterna, e si riproducevano non unendosi tra loro, ma con la terra. Così gli uomini per generare si dovevano accoppiare e procreare ed evitare l’estinzione.

A questo punto entrano in gioco le “fiamme gemelle”.

L’essere umano si origina da un tutto che ha perduto.

Questo intero, pur non sussistendo più, ha mantenuto il desiderio di ricomporsi con l’altra sua parte gemella.

Questo desiderio e questa ricerca si chiamano Eros, cioè Amore.

I dialoganti del Simposio affermano che Eros, il dio Amore, dovrebbe essere il dio più amato. Niente sarebbe più importante, perché è il dio più amico degli uomini. Li aiuta, li conforta, rappresenta la più grande felicità. Sfortunatamente il concetto espresso in questa parte di mito ha da sempre deviato l’umano dalla vera natura dell’amore.

Aristofane era un comico e le sue affermazioni servono più che altro a smentire le stesse. Ciò che Platone voleva far comprendere era la differenza tra questa impostazione malata e quella che seguirà, impersonata da Diotima, invitata dallo stesso Socrate in qualità di persona che sa, che parlerà di un amore molto diverso e assai più vero.

2) SOCRATE E DIOTIMA DI MANTINEA

Diotima di Mantinea come nome è tutto un programma. “Mantinea” è in assonanza con il verbo manteuomai = divinare o presagire.
Il nome “Diotima” suggerisce il favore della divinità.

Diotima tramite Socrate, vuole mostrare che cosa sia Eros in realtà, andando contro al senso comune espresso dagli altri partecipanti all’incontro. Diotima afferma che se si ammette che gli dei sono felici e belli e che la felicità consista nel possedere cose belle e buone, allora Eros non può essere un dio, perché, desiderandole, dichiara di non possederle. Eros non è un dio né un mortale ma qualcosa d’intermedio: un grande daimon.

I demoni fanno da mediatori tra dei e umani.

Presiedono alla divinazione e all’arte sacerdotale dei sacrifici, dei rituali e degli incantesimi. La divinità non si mescola con l’uomo. I demoni sono entità divine di rango inferiore che presiedono ai destini individuali.

Diotima racconta che, alla nascita di Afrodite, dea dell’amore, gli dei fecero una festa. Tra gli invitati c’era Poros, l’espediente, figlio di Metis, la saggezza. Penia, la povertà, che chiedeva l’elemosina al banchetto.

Penia approfittò di Poros ubriaco per concepire un figlio con lui: Eros. 

In questo modo ribalta l’opinione comune.

L’amore inteso quale sentimento di pienezza. Eros invece è l’esatto opposto: mancanza e privazione di ciò che si ama, non possesso.
Ciò che ama non è in lui ma fuori di lui. Gli uomini scambiano la condizione dell’amato con quella dell’amante, laddove è piuttosto la tensione, la forza, la profondità dell’amante che caratterizza il sentimento amoroso, e non lo stato passivo dell’amato. Amare è un atto elicito che fa star bene prima di tutto chi lo prova.

Diotima racconta «Eros è sempre povero e non è per niente delicato, come crede la maggior parte delle persone, ma è duro e sciatto e scalzo e senzatetto, sempre pronto a sdraiarsi per terra senza coperte, per dormire all’addiaccio perché ha la natura della madre. Da parte di padre, invece, è un macchinatore astuto in agguato ai belli e ai buoni, coraggioso, impetuoso, veemente, cacciatore terribile, sempre occupato a ordire trame incantatore, esperto di ogni genere di trucchi».

Non è né mortale né immortale, perché vive e muore a intermittenza.

Non è sapiente poiché cercando di sapere, dimostra di non possedere la conoscenza assoluta come gli dei. Gli dei sono già sapienti, non possono cercare il sapere, e l’ignorante è soddisfatta di sé. Entrambi non cercano continuamente di conoscere.

Il mito di Eros evidenzia che colui che sa non cerca, e chi non sa non può cercare perché ignora. Eros non è desiderio del bello da possedere ma perseguimento del bene, unico mezzo per essere felici. Diotima trasforma il bello dell’oggetto amato nel bene. Di conseguenza non è amore il possedere ciò che si ama, questa è una perversione dettata da una carenza. Mentre il desiderio del bene, che a questo punto corrisponde al sommo bene sia dell’amante sia dell’amato, è l’unica vera strada da intraprendere. La felicità che si origina dal perseguimento del bene non ha un oggetto specifico al quale si riferisce, lo scopo non è il partner ma lo stato di coscienza di chi ama che procura assoluto benessere. Tale situazione prevede la crescita dell’altro oltre che di se stessi.

Denominare amore solo una parte, quella del desiderio di unirsi, di accoppiarsi, non esprime la totalità di ciò che in verità è amore.

Diotima fa ancora un passo oltre.

Eros è il desiderio che il bene sia con noi per sempre. L’amore per lei è procreare, partorire nel bello (non nella bruttezza) del corpo e dell’anima per raggiungere l’immortalità.

Come si raggiunge l’immortalità?

Trasmutando continuamente, essere sempre in divenire.

Mentre gli dei rimangono sempre gli stessi, i mortali devono perennemente rinnovarsi per non morire interiormente. Deve sorgere una fecondità spirituale sempre nuova.

La progressione di Diotima è un’ascensione dal sensibile all’intelligibile, dal divenire all’Essere. Diotima invita a trascendere l’individualità per qualcosa di molto più ampio.

3) CONCLUSIONE

Questo mito, come quasi tutti, purtroppo, lavora in modo invisibile nelle menti delle persone. Rappresenta una griglia attraverso cui controllare la coscienza dell’uomo preorientando la sua decisionalità e le sue convinzioni. È necessario riflettere su alcuni punti.

  1. All’inizio esiste uno stato di completezza che viene meno per manomissione esterna.
  2. La scissione da se stessi diventa condizione di partenza di tutta l’umanità. Cioè si dà per scontato che questo problema debba essere risolto con l’altra metà.
  3. Amare inevitabilmente vuol dire soffrire. Il famoso “mal d’amore”.
  4. La ricerca della propria metà si trasforma in necessità di coprire le proprie¬ carenze grazie a un’altra presenza. Una compensazione.
  5. Possedere l’altro fino a diventare una cosa sola, inglobandolo, è la massima felicità che l’amore può offrire all’uomo. Dominare l’altro.
  6. La sessualità è diventata sinonimo di amore. Fare sesso non è fare l’amore.

Con l’arrivo di Socrate e Diotima le cose mutano radicalmente. 

L’amore diventa amore del bene e la forza benefica di questa spinta sorgiva resta appannaggio di chi ama e non dell’amato, che a sua volta, se vorrà provare la stessa emozione, dovrà semplicemente amare.

Da quest’affermazione finale EVAPORA OGNI CONCETTO DI SCISSIONE E DI MANCANZA E OGNI INCOMPLETEZZA poiché chi cerca il bene per forza di cose, deve essere integro in se stesso E NON ATTENDE CHE UN ALTRO LO GUARISCA. Ecco perché per amare occorre prima di tutto amare se stessi, perché è l’unico sentiero per espandere da dentro di sé la forza procreatrice dell’amore e raggiungere una pienezza individuale.

Quindi l’amore, quello vero, non è per tutti ma solo per chi ha deciso di evolvere, crescere e amarsi anelando al bene si proprio che altrui.
Il resto illusoriamente chiama amore fare sesso, vivere il quotidiano con un compagno e ricoprire i ruoli e i luoghi della morale che la società impone.

Ecco che le definizioni di “anime gemelle” e fiamme gemelle”, la loro spasmodica ricerca, s’inabissano nel mare dell’ignoranza. 

Indipendentemente che queste argomentazioni emergano da un’ipnosi regressiva o da una seduta medianica non ha molta importanza. Se riescono a portare beneficio alla persona tanto di guadagnato ma prendere come oro colato e assumerlo addirittura come conoscenza suprema mi pare davvero esagerato.

NON C’E’ ALCUN BISOGNO DI ATTINGERE AL MONDO DELL’INCONOSCIBILE E DELL’IMPODERABILE.

Se vai a rivedere i punti che segnalano la presenza di anime o fiamme gemelle, potrai costatare che si tratta del minimo accettabile per impegnarsi in una relazione seria, niente di più.

Ogni relazione perché sia ritenuta valida deve possedere come obiettivo principale la crescita di entrambi nella loro individualità prima e su un piano ancora superiore, della loro unione. Ci deve essere salute, progettualità, entusiasmo, denaro, voglia di vivere e di divenire continuamente.

Consiglio spassionato a chi è in cerca della propria anima o fiamma di crescere interiormente, di non affidarsi a personaggi che si appropriano di conoscenze posticce e assai dubbie ma di perseguire prima di tutto l’amore e la conoscenza di se stessi. Il resto non tarderà a giungere.

Maurizio Fani

 

Nell’ultima cena, secondo l’interpretazione cristiana del racconto dei vangeli, Gesù distribuì ai suoi discepoli il pane e il vino come suo corpo e suo sangue offerto come sacrificio, incaricandoli di fare lo stesso in sua memoria.

Questa condivisione ha il significato di “comunione”.

Corrisponde a un distribuire se stessi.

Mi sembra ovvio che sia altamente pericoloso farlo con persone sbagliate.

Ma è stata veramente una Comunione quella a cui Gesù ha partecipato insieme agli apostoli ?

Rivolgiamo l’attenzione al già citato Leonardo e analizziamo solamente alcuni punti del suo spettacolare affresco raffigurante l’ultima cena.

Tieni sempre presente che a me interessa focalizzare la tua attenzione sul concetto di Comunione.

Leonardo è sempre stato molto attento nelle sue opere a non esporsi all’accusa di essere un eretico. Ciò nonostante non ha mai amato la Chiesa e in ogni modo lo si capisce dalla lettura simbolica del suo affresco (oltre che dai suoi scritti allegorici).

Per cortesia osserva attentamente l’affresco. 

Ora ti accennerò solo tre punti che ti faranno certamente riflettere sul concetto di “comunione”.

 

  1. a) LA FIGURA DEL CRISTO

Guarda bene la figura di Gesù Cristo. 

Ti sembra felice come uno che vive in comunione con altri?

No, non lo è.

È di una tristezza assoluta. Gli occhi semichiusi, la bocca leggermente aperta come se stesse spirando, la testa leggermente reclinata. Leonardo ha immortalato quel passo del vangelo dove Cristo comunica che qualcuno lo tradirà. 

Il Cristo è solo. 

Come sempre l’eccezionalità, la grande differenza, comporta la solitudine.

Appare insolitamente in controluce, segno della sua tristezza, inizio della sua agonia interiore.

Nell’affresco la figura del Cristo rappresenta il sole, mentre tutti gli altri apostoli rappresentano i 12 segni zodiacali, le quattro stagioni, le virtù teologali.

Osserva la struttura piramidale del Cristo. Sembra un triangolo equilatero. Richiama la simbologia della lama, ciò che penetra, l’energia maschile.

 

  1. b) LE FIGURE DI PIETRO E DI GIOVANNI

Pietro che in altre rappresentazioni dell’ultima cena è sempre stato messo in chiara evidenza, qui non lo è.

Pietro è il primo pontefice, il capo della chiesa, IL PERSONAGGIO PIÙ IMPORTANTE DOPO GESÙ ma i tratti fisiognomici che lo contraddistinguono attestano una doppiezza e una falsità.

Se osservi la sua figura vedi che spunta nella sua mano un coltello ricurvo da pescatore e con l’altra punta il dito indice alla gola di Giovanni.

Tale atteggiamento rende tutto innaturale, ambiguo, indiretto e falso.

Perché Leonardo ha voluto rappresentare il capo della chiesa, il primo pontefice in questo modo?

Giovanni è sempre stato il discepolo prediletto di Gesù. 

Da sempre riferimento nascosto per quanti immaginano un’altra Chiesa, non temporale ma interiore.

Giovanni era l’uomo che Pietro e Paolo dovevano temere. 

Lui non delegava a un salvatore esterno la sua salvezza ma intendeva una salvezza interiore.

Comprensibile la volontà di Leonardo di portare avanti questo aspetto, molto più vero, rispetto alla temporalità della Chiesa.

Pietro indica la gola di Giovanni in maniera minacciosa, il luogo della parola, il chakra che ha a che vedere il apporto con la Verità. E questo indicare, così dolce, contrasta con l’aggressività del viso di Pietro.

 

  1. c) IL GIOVANNI O LA MADDALENA?

Le fattezze femminili e adolescenziali di Giovanni benché comuni a quel tempo hanno fatto propendere molti esoteristi nonché Dan Brown, a vedere in quel personaggio la figura della Maddalena, alla quale Gesù avrebbe affidato preziosi segreti.

Con questa ipotesi si spiegherebbe la “V” che si vede chiaramente tra lei e la figura del Cristo. In questa posizione richiama il calice, ciò che contiene, l’energia femminile.

I due simboli della lama e del calice, farebbero intendere che una comunione tra i due esisteva. Infatti sono gli unici due che hanno volti spiritualmente elevati e non divorati dalle umane pulsioni come tutti gli altri apostoli.

Gli apostoli sono affogati nella psicologia, Gesù e la Maddalena si alzano in volo rispetto alla massa.

Adesso metti insieme queste riflessioni e avrai un quadro reale di quello che dovrebbe essere una comunione d’amore.

 

5) CONCLUSIONE

Una comunione è possibile ma solo tra individui simili.

Si può essere in comunione con un partner solo dopo che sei entrato in comunione con la tua anima. Da lì puoi condividere la piccola fiammella che abita dentro di te e che proviene dal fuovco sacro dell’Essere.

Due persone possono vivere una comunione solo se entrambe si identificano nell’Essere e nella volontà di divenire ciò che sono..

Essere in comunione significa aprire il proprio intimo all’altro che quasi sempre è predatorio e vampirico.

L’eccezionalità affascina, piace, entusiasma.

Molti dopo averla assaggiata la pretendono.

Esigono l’esclusività, si autoproclamano al livello di eccezionale senza aver mai maturato le indicibili fatiche, le sofferenze e l’impegno che invece hanno contraddistinto una vita di un individuo che ha solo cercato, in mezzo ai propri errori e limiti, di capire chi fosse e divenire di conseguenza.

Si tratta solo di possesso, dominio, affetto di bassa lega, NON DI AMORE.

Colui che è disposto a seguirti nel percorso interiore che ti ho accennato è sicuramente degno di attenzione. Ciò non toglie che ti invito alla attenzione più assoluta e presente.

In questo sintetico articolo ho cercato di evidenziare gli aspetti che per mia esperienza diretta indicano la strada dell’essere umano vero, autentico, disposto a qualunque sacrificio per portare a termine il proprio progetto di natura. 

Cosciente e fiero di poter affermare: «IO SONO».

 

Maurizio Fani

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